Se arriva l’obbligo di frequenza anti-occupazione studentesca

Tra le novità delle “Indicazioni nazionali” per la scuola media, pubblicate alla vigilia di Natale dal MIUR ( www.istruzione.it ) c’è quella dell’obbligo minimo di frequenza delle lezioni da parte degli studenti, quantificato in 825 ore annue ( http://www.tuttoscuola.com/ts_news_84-3.doc
). Qualcuno l’ha confuso con l’orario annuale obbligatorio delle lezioni, cioè quello che le scuole sono tenute in ogni caso a organizzare, che viene invece quantificato in 900 ore complessive (90 in meno rispetto all’orario obbligatorio attuale, v. TuttoscuolaNEWS n.83).
Le 825 ore (che consentono quindi un massimo di 75 ore di assenza all’anno, cioè non oltre 15 giorni complessivi) sono invece il tempo minimo di frequenza che ciascun studente deve garantire. Come dire che, qualora quel minimo fosse prescrittivo, per chi non lo raggiunge l’anno scolastico potrebbe essere considerato d’ufficio non valido, indipendentemente – sembra di capire – dal profitto scolastico.
La quantità minima di frequenza non è una novità assoluta per la scuola italiana. Non mancano infatti in anni molto lontani talune esperienze di questo tipo.
Quale lo scopo? Quest’obbligo minimo di frequenza potrebbe rappresentare un deterrente in qualche area del Paese per contenere la dispersione scolastica, che si identifica anche in una frequenza saltuaria delle lezioni.
Ma l’indicazione potrebbe preludere a una scelta analoga anche per la scuola secondaria superiore, per arginare – chissà – il fenomeno delle occupazioni.
Si sa che da molti anni in Italia, indipendentemente dal ministro di turno (di sinistra, di centro o di destra) in autunno, come frutto di stagione, matura l’occupazione degli studenti.
I motivi (o i pretesti) sono tanti, viste le numerose situazioni critiche del sistema scolastico, e non mancano mai sostegni del mondo politico o sindacale. Che non si stia ora pensando, come antidoto, all’obbligo anti-occupazione?