Scuola e mercato/1. Troppi giovani disoccupati

L’Istat ha diffuso i dati provvisori (si tratta di stime mensili campionarie) sull’occupazione, che in Italia ammonta nel mese di maggio 2010 a 22 milioni 870.000 unità, il 56,9% della popolazione in età da lavoro: una percentuale bassa, se confrontata con quella di altri Paesi, che si spiega con l’elevato numero di “inattivi” (14 milioni 877.000 persone, il 34,4% della fascia considerata), che non lavorano e non chiedono di lavorare.

I disoccupati, coloro che invece sono in età da lavoro e vorrebbero lavorare, sono 2 milioni 172.000, l’8,7% della cosiddetta popolazione attiva, che comprende gli occupati e i disoccupati. Un dato inferiore a quello della media europea (10,1%) e a quello di Paesi come la Spagna (19,7%) e la Francia (10,1%), ma fortemente caratterizzato, nel nostro Paese, da squilibri distributivi, perché la disoccupazione colpisce di più le donne (10,1% contro il 7,7% degli uomini), e soprattutto i giovani tra i 15 e i 24 anni, fascia d’età nella quale la percentuale sale al 29,2%.

All’interno di questa percentuale emergono ulteriori squilibri non solo tra donne e uomini ma anche tra nord e sud, e spesso si tratta di giovani diplomati i cui titoli di studio non hanno assicurato loro alcun posto di lavoro.

A prescindere da altre valutazioni sull’adeguatezza dei percorsi scolastici di tipo tecnico-professionale, va detto che all’origine di questa elevata percentuale di giovani disoccupati sta anche la storica insufficienza del sistema italiano di apprendistato, incapace di realizzare quel mix di esperienza e apprendimento, lavoro e riflessione che caratterizza, per esempio, il modello tedesco.