Sciopero/2. Un effetto ultrattivo

Oltre dieci anni fa, in occasione del rinnovo del CCNL 98-2001, venne sottoscritto anche un accordo per l’attuazione della legge 146/1990, relativa al diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali. La preintesa dell’agosto 2001 di modifica di quell’accordo non fu mai sottoscritta.

L’accordo prevedeva (e prevede tuttora) che “in occasione di ogni sciopero, i Capi d’istituto inviteranno in forma scritta il personale a rendere comunicazione volontaria circa l’adesione allo sciopero… Sulla base dei dati conoscitivi disponibili, i Capi d’istituto valuteranno l’entità della riduzione del servizio scolastico … e comunicheranno le modalità di funzionamento o la sospensione del servizio alle famiglie“.

Poiché è rarissimo che i docenti comunichino in anticipo l’eventuale adesione allo sciopero e non è pensabile che un dirigente scolastico, per quanto possa conoscere il proprio personale, sia un indovino e riesca a sapere in anticipo quanti docenti sciopereranno, capita quasi sempre, come può essere successo venerdì con lo sciopero generale della Cgil-scuola (e ancor più se lo sciopero è indetto da tutti i sindacati), che i dirigenti scolastici, soprattutto delle scuole del primo ciclo dove l’età degli alunni fa aumentare i problemi della vigilanza e della sicurezza, che la soluzione più facile e logica (ma non rispettosa dei diritti “costituzionalmente protetti” dei minori) sia quella di scegliere tra due vie: comunicare alle famiglie che non è garantito il servizio (e molti genitori tengono, quindi, i figli a casa) oppure sospendere del tutto le lezioni.

Nell’uno e nell’altro caso l’effetto è ultrattivo e finisce per sottrarre un diritto ai minori in un settore, la scuola, dove la legge vuole assicurare i servizi essenziali.

La colpa, però, non è dei capi d’istituto, ma di quell’accordo di applicazione della legge 146/1990  che equipara al diritto di sciopero il diritto di non dichiararlo preventivamente, anche se si tratta di  un servizio pubblico essenziale, come la scuola.

In questo modo – è certo – sono gli alunni e i genitori a rimetterci.