Sciopero del 12: “nuova Resistenza” o “sciopero politico”?

Basta esasperazioni, pensate al bene del Paese”, “serve rispetto reciproco”, “serve che si trovi la via di una discussione pacata” tra sindacato, governo e Parlamento.

L’appello del presidente Napolitano, che si è anche attivato personalmente, a quanto riferiscono le cronache dei giornali, per attenuare il forte contrasto tra governo (ministro Lupi) e sindacati sulla questione della precettazione dei ferrovieri, poi revocata per evitare l’esasperazione del conflitto sociale, non sembra essere stato accolto da tutti, almeno nel giorno in cui lo sciopero si è svolto.

Certamente non dal neosegretario della Uil Carmelo Barbagallo, quando ha parlato di “nuova Resistenza” contro le politiche del governo (termine che aveva forse nelle sue intenzioni la erre minuscola, lettera che però nel fervore del suo discorso è sembrata a tutti maiuscola). E nemmeno dalla vicesegretaria del PD Debora Serracchiani, che ha definito lo sciopero “legittimo ma assolutamente politico” e ha anche lodato la diversa linea tenuta dalla Cisl, che non ha aderito allo sciopero anche se contraria al Jobs Act e al blocco dei contratti del pubblico impiego.

La spaccatura tra Cgil e Uil da una parte e Cisl dall’altra (con una Uil post-Angeletti meno disposta a mediare tra le altre due organizzazioni) può avere importanti ripercussioni nella scuola, con la divisione delle cinque “maggiori organizzazioni rappresentative” in due sottoschieramenti: Cgil e Uil da una parte e Cisl, Snals e Gilda degli insegnanti dall’altra: più ‘politico’ il primo, più contrattualista e settoriale il secondo.

Non sarebbe un passo avanti verso quella “discussione pacata” tra le parti, auspicata dal presidente della Repubblica, che l’impegnativo (comunque se ne valutino i contenuti) e multidimensionale documento governativo sulla ‘Buona Scuola’, richiederebbe a tutti, a cominciare dai sindacati.