Riforma/1. Un difficile compromesso sul secondo ciclo

La figura geometrica che meglio si presta a rappresentare la struttura del sistema liceale delineata nella più recente bozza di decreto legislativo sul secondo ciclo (la settima, secondo chi ne ha tenuto il conto) è l’ellissi, che come è noto ha due fuochi: il primo è quello attorno al quale si raccolgono i licei generalisti (classico, scientifico, linguistico, delle scienze umane); il secondo è quello che fa da riferimento a due dei tre licei che si articolano in indirizzi (l’economico e il tecnologico), mentre in una zona intermedia si collocano il liceo musicale-coreutico e quello artistico.
La richiesta, avanzata in forme diverse da AN e UDC, di salvaguardare il carattere specifico dell’ex istruzione tecnica, sembrerebbe così essere stata accolta. Nell’ipotesi di partenza dell’UDC (e anche del Nuovo PSI) essa avrebbe dovuto costituire il nerbo del “sistema di istruzione e formazione“, insieme all’ex istruzione professionale di Stato, ma le molte complicazioni derivanti dal nuovo titolo V della Costituzione, l’ostilità della Confindustria e di molti operatori dell’istruzione tecnica e professionale, e la scarsa disponibilità delle Regioni a farsi carico in breve tempo di un così imponente compito, hanno indotto i sostenitori dei due canali “di pari dignità” a ripiegare sull’accennato modello “ellittico”. Un modello all’interno del quale coesistono in realtà (come accadeva peraltro anche nel modello “unitario” di Berlinguer) due sottosistemi, quello liceale “puro” e quello dei licei a tendenza professionalizzante. Quei licei “vocazionali” richiesti con insistenza da AN e Confindustria, contrari alla regionalizzazione degli ex istituti tecnici ma ostili anche alla loro “licealizzazione”, intesa come perdita della loro valenza professionalizzante, in mancanza della quale essi si trasformerebbero in “licei dell’aria fritta” (Valditara).
A complemento e completamento della mediazione raggiunta in seno alla maggioranza c’è poi la possibilità, contemplata nella bozza di decreto, di costituire “campus” o “poli tecnologici”, che affiancherebbero nelle stesse sedi percorsi liceali quinquennali ex tecnici e percorsi professionali di durata varia da tre a sette anni, con utilizzazione congiunta delle attrezzature e del personale. Ma su questa ipotesi il governo dovrebbe acquisire il consenso delle Regioni: operazione di per sé non semplice, ma che dopo l’esito delle recenti elezioni regionali si è fatta certamente più difficile.