Riforma della rete scolastica/2. La Conferenza unificata andava consultata prima

Già nel 2008, quando un’altra norma calata dall’alto con decreto legge, come questa di mezza estate, aveva tentato una riforma della rete scolastica, la Consulta, in base a ricorsi di alcune regioni (in parte le stesse di quest’anno, ma anche altre come, ad esempio, il Piemonte, allora non a maggioranza leghista) aveva dichiarato l’illegittimità della norma per violazione dell’art. 117 della Costituzione che prevede, anche in materia di rete scolastica, una legislazione concorrente.

La disposizione legislativa che puntualizza questa competenza è il decreto legislativo 112/1998 che, in proposito all’art. 137 recita testualmente: “Restano allo Stato, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera a), della legge 15 marzo 1997, n. 59, i compiti e le funzioni concernenti i criteri e i parametri per l’organizzazione della rete scolastica, previo parere della Conferenza unificata”.

Criteri (costituzione generalizzata di istituti comprensivi) e parametri (almeno 1000 alunni) che, come si è visto, sono stati sì definiti da una legge dello Stato (la 111/2011), ma senza la prevista intesa nella sede istituzionale della Conferenza Unificata.

Intesa che, a legge approvata da quasi tre mesi, si cerca ora a posteriori di avere per la fase di attuazione, perché taluni criteri è bene che vengano concordati per evitare un “fai da te” rischioso.

Ma il non avere acquisito preventivamente l’intesa vincolante della Conferenza Unificata prima che la norma diventasse definitivamente legge espone ora la riforma della rete, inclusa la generalizzazione nel primo ciclo degli istituti comprensivi, a rischio di incostituzionalità, visti i ricorsi presentati da sei regioni che denunciano l’invasione di spazi riservati alla loro potestà legislativa.

Se si vogliono salvare gli obiettivi della manovra, il Miur e, soprattutto, il ministero dell’economia dovranno trovare una soluzione da condividere con il sistema Regioni. Al più presto.