Quello che non va nelle nuove scuole superiori

Sul tema della riforma delle scuole superiori, ci ha scritto una lunga email la nostra lettrice Renata Collatina, il cui testo volentieri pubblichiamo.

Invitiamo gli altri lettori a inviarci le loro opinioni sul tema (o su altri temi nuovi da proporre), scrivendoci come di consueto a botta_e_risposta@tuttoscuola.com.

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Sono un’insegnante di scienze di un liceo Scientifico del Nord Milanese e, dopo un lungo periodo di riflessione seguito all’approvazione della riforma delle scuole superiori, credo sia mio dovere evidenziare alcune contraddizioni su cui i mass media non si sono soffermati sufficientemente e che anzi, talora, hanno descritto come novità positive:

1) viene affermato un incremento dell’insegnamento delle Scienze che andrebbe finalmente a colmare le lacune nella cultura scientifica del nostro paese, evidenziate dai deludenti risultati dei nostri studenti nei test OCSE PISA del 2006. In realtà nel liceo delle Scienze applicate, che andrebbe a sostituire il “vecchio” liceo scientifico tecnologico e che era stato presentato come opzione del liceo Scientifico, tutte le discipline scientifiche subiscono una drastica riduzione.

Nel liceo Scientifico effettivamente viene incrementato significativamente l’insegnamento della Fisica, ma non quello di Scienze (cioè di Biologia + Scienze delle Terra + Astronomia + Chimica!!!), che prevede ancora un numero di ore decisamente insufficiente (inferiore a quello previsto per il Latino!), Probabilmente non ci si rende conto che per comprendere e porsi in atteggiamento critico rispetto ai cambiamenti che ci toccano direttamente (le biotecnologie, la manipolazione del DNA e della vita fin dalle sue prime fasi, i cambiamenti climatici e ambientali…), sono fondamentali solide basi scientifiche nel campo della Biologia e delle Scienze della Terra, che permettano di partecipare consapevolmente al dibattito e alle scelte pubbliche.

Negli altri istituti superiori la riduzione dell’orario complessivo ha avuto effetti importanti sull’insegnamento di Scienze della Natura e della Materia.

Anche per quanto riguarda le ore di Matematica si registra un decremento rispetto agli indirizzi PNI. L’aumento riguarda solo gli indirizzi tradizionali e ad esso corrisponde, almeno nel primo biennio, un sicuro aumento di contenuti, visto che è previsto all’interno dello stesso monte ore anche l’insegnamento dell’informatica, materia che per sua natura, richiedendo l’utilizzo di laboratori, necessita di tempi lunghi.

Parrebbe che i licei Scientifici possano attivare l’opzione “liceo delle Scienze applicate”: in realtà sono gli Uffici scolastici regionali che stabiliscono in quali Istituti possono nascere questi nuovi licei, e per lo più questa scelta è andata a vantaggio degli Istituti tecnici dove erano già presenti corsi di liceo scientifico tecnologico, probabilmente per salvaguardare in questi i posti di lavoro che altrimenti sarebbero andati persi. In questo modo però hanno tolto la possibilità a licei che tradizionalmente e con successo offrivano alla loro utenza corsi sperimentali di scienze o di PNI, dotati quindi di laboratori attrezzati e di esperienza professionale, di poter continuare a proporre una approfondimento adeguato in campo scientifico.

Eppure il nuovo liceo delle Scienze applicate, rispetto al “vecchio” liceo Sc. tecnologico, ha un’impostazione decisamente meno tecnica e più liceale.

Viene inoltre dichiarato che l’insegnamento delle materie scientifiche va supportato dall’utilizzo dei laboratori e dalla attività sperimentale: giusto! Peccato che questa attività richieda tempi maggiori rispetto alla tradizionale lezione frontale, tempi che nel liceo Scientifico di fatto non ci sono.

2) Si proclama un futuro di maggior professionalità del corpo docente: in realtà mi pare che si vada in direzione opposta. Ne è un esempio il fatto che, per evitare la perdita di posti di lavoro dovuta alla riduzione di ore o alla scomparsa di alcune materie, alcuni docenti possano insegnare delle discipline senza nessuna preparazione e senza avere l’abilitazione necessaria (mi riferisco, per esempio, ai docenti di Chimica che, vedendosi “scippata” la propria materia al liceo delle Scienze applicate, probabilmente potranno insegnare Biologia e Scienze della Terra).

A differenza delle scuole del primo ciclo, nel secondo ciclo occorre che ci sia una specializzazione nell’insegnamento. Il Ministero sembra non aver ancora capito che le Scienze comprendono la Biologia, l’Astronomia, Le Scienze della Terra, la Chimica e la Fisica.

Non si può pretendere che un docente sia adeguatamente preparato in tutte queste discipline indipendentemente dagli studi fatti e dall’abilitazione presa. Forse in un futuro al docente di Italiano si chiederà di spiegare anche inglese e tedesco perché discipline linguistiche? E al collega di ed. fisica anche disegno perché attività pratica?

Con grande demagogia e nel plauso generale, il quinto anno, si è introdotto l’insegnamento di una materia non letteraria in lingua inglese: innanzitutto non è chiara l’effettiva utilità di questa scelta e in realtà sono pochissimi i docenti in grado di adeguarsi a questa innovazione. Infatti gli insegnanti hanno un’età media piuttosto elevata e ai tempi della loro laurea o abilitazione nessuno ha dovuto sostenere un esame di lingua straniera. E‘ pur vero che è nostro dovere aggiornarci, ma un conto è riuscire a farsi capire in una lingua non propria, un conto è spiegare in lingua inglese una materia, magari complessa, che gli studenti non conoscono. Prevedo l’impossibilità ad attuare questa norma nella maggioranza dei casi.

3) I libri di testo non possono essere cambiati per 6 anni per contenere la spesa delle famiglie: in realtà abbiamo dovuto adottare libri di testo fin da ora (la scadenza è prossima) senza neppure saper quali sono i programmi definitivi; infatti fino ad ora sono state pubblicate solo le bozze di indicazioni nazionali e, in taluni casi, eventuali cambiamenti potrebbero creare non pochi problemi.

Anche le case editrici hanno ovviamente dovuto stampare libri senza avere nessuna certezza dei programmi e quindi nel caos più totale. Mi chiedo quale sia il motivo del vincolo per 6 anni, quando il biennio dell’obbligo dura appunto 2 anni e il triennio 3.

4) Si annuncia una scuola finalmente più rigorosa, tant’è vero che da quest’anno si può essere ammessi all’esame di Stato solo se si è sufficienti in tutte le materie: in realtà si pensa che le difficoltà degli studenti, soprattutto in alcune materie, siano risolvibili solo con la bacchetta magica?

Non c’è nessuna riflessione sul perché, a fronte di una scuola italiana molto selettiva sul piano numerico (negli altri paesi europei o negli USA non mi risulta sia così), le competenze dei nostri studenti risultino invece inferiori a quelle dei coetanei europei.

L’unica soluzione proposta è quella di richiede al singolo istituto l’attivazione di corsi di recupero (secondo le indicazioni dell’ex ministro Fioroni, ben 15 ore pomeridiane per ogni materia insufficiente, alla faccia dell’autonomia scolastica!), senza però fornire per tempo alle scuole certezze sul finanziamento dei fondi necessari.

L’unica soluzione per non dimezzare il numero di studenti da ammettere all’esame di Stato, che in quinta sono pur arrivati, talvolta con difficoltà, sudandosi la sufficienza e superando debiti nel corso degli anni precedenti, è abbassare il livello delle richieste.

Questo significa una scuola più rigorosa? Stando ai dati Eurostat, l’Italia, con una spesa per l’istruzione pari al 4,4% del Pil, si situa al 21° posto tra i paesi UE e la riduzione del tempo scuola obbligatorio, l’aumento del numero di alunni per classe e del numero di classi affidate ai docenti non sembra andare verso una miglior qualificazione del servizio e una miglior preparazione dei nostri studenti.

L’impressione è che della scuola e del futuro dei nostri giovani interessi qualcosa solo agli addetti ai lavori e ai genitori per il tempo limitato al periodo di frequenza dei propri figli… e che non ci si renda conto che investire in istruzione significa aumentare il capitale umano e migliorare le possibilità di sviluppo di un paese.

Renata Collatina

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