Quell’ambiguo appello alla scuola in presenza

Lo avevamo già rilevato in pieno lockdown delle scuole, commentando la difesa a spada tratta della scuola in presenza fatta da Alberto Asor Rosa in un veemente articolo pubblicato da Repubblica, e l’analoga presa di posizioni di altre organizzazioni (tra le quali il ‘Movimento di cooperazione educativa’, il ‘Coordinamento genitori democratici’ e ‘Legambiente Scuola e Formazione’): la DaD e in generale l’e-learning nelle sue varie forme non vanno considerati alternativi alla didattica in presenza di per sé, ma al modello di scuola statica, selettiva, monomediale, socialmente discriminante e anche inefficiente rappresentato dalla nostra scuola tradizionale. Una grande occasione per cambiare.

Ma soprattutto in queste ultime settimane, con il ritorno obbligato della DaD nelle scuole secondarie superiori e anche in terza media, i fautori dell’insostituibilità della scuola in presenza sono tornati all’attacco anche con straordinari esercizi retorici di damnatio della DaD come quello di cui si è reso protagonista lo psichiatra e scrittore Paolo Crepet. Che ha pensato di scrivere in un suo blog, pubblicato dal sito online huffingtonpost.it, una lettera ad Anita, la studentessa torinese che si è seduta sui gradini all’ingresso del suo liceo chiuso per chiedere il ripristino della didattica in presenza. Una autentica requisitoria anti DaD: “Nessun politico ha prodotto un pensiero creativo per dare continuità alla vostra formazione e alla vostra crescita: anzi i burocrati hanno stabilito che esse debbano avvenire nel vostro acquario domestico, guardandovi attraverso una manciata di pixel. E chi se ne importa se avete già perso un anno di formazione e di vita”. 

Nessun dubbio attraversa la mente e la penna di uno studioso che in altre occasioni si è mostrato assai più problematico. Politici e burocrati (in combutta?) sono a suo avviso responsabili di aver sottratto ai giovani “un anno di formazione e di vita”. E allora, scrive Crepet, “Ti chiedo io scusa, anche se non servirà a niente, ma vorrei che tu sapessi che in questa tua meravigliosa battaglia non sei sola e non hai perso, Anita. Questa esperienza ti avrà insegnato che val sempre la pena battersi per la propria dignità e libertà. Non aspettare adulti distratti e pavidi, arriveranno in ritardo, impara semmai a difendere la tua vita con intelligenza e passione”.

Che cosa significa in concreto, al di là della fiammeggiante prosa dello scrittore (più che dello scienziato), un appello di questo genere? È un invito allo sciopero a tempo indeterminato? È un modo un po’ furbesco di schierarsi comunque con i giovani contro gli adulti “distratti e pavidi”? È l’horror vacui di uno psichiatra che teme il venir meno della relazionalità nei rapporti interpersonali? Domande, forse, un po’ provocatorie, come d’altra parte lo sono le tesi sviluppate da Crepet nella sua lettera ad Anita.