Quando in Italia si pensò di abolire le bocciature
Nella finanziaria 2007 del governo Prodi era stato previsto un risparmio di 56 milioni all’anno realizzabile mediante la diminuzione coatta delle ripetenze nel biennio iniziale degli istituti d’istruzione secondaria superiore.
L’ipotesi, contenuta nella relazione tecnica che accompagnava il testo iniziale della legge, venne abbandonata sia per la contrarietà dei sindacati sia per la mancanza di misure di compensazione didattica e organizzativa.
A differenza di quanto prevede ora la proposta austriaca di abolire le bocciature nella scuola secondaria, il progetto italiano di quella finanziaria non prevedeva, parallelamente alla eliminazione della bocciature, interventi di recupero e di rinforzo delle discipline di base nei confronti degli studenti più deboli. Era prevista soltanto una riduzione di posti senza modifiche degli ordinamenti.
Più esattamente, considerando che veniva reintrodotto l’innalzamento dell’obbligo di istruzione nel primo biennio delle superiori, la proposta, proprio per quei due anni di obbligo, intendeva azzerare in parte l’istituto della ripetenza, riducendo del 10% il numero dei bocciati nei primi due anni delle superiori che a quella data risultavano pari a 185 mila.
Il 10% di quei 185 mila, pari a 18.500 alunni “salvati”, avrebbe comportato, in base al rapporto alunni/classe dell’epoca, una riduzione virtuale di 805 classi che la stessa relazione aveva considerato realizzabile concretamente in almeno 644 classi. La prevista riduzione di 644 classi avrebbe inciso gli organici determinando una contrazione di 1.455 posti di docente e di 425 Ata. Con un risparmio annuo di 56 milioni. La chiamano politica scolastica…
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