Piano del MIM contro la violenza sulle donne, Lingiardi: ‘Passo da guardare a favore. Speriamo di non finire nel vago’

Il progetto presentato ieri dal ministro Valditara, pensato dopo le orribili vicende estive di Palermo e Caivano, ha un bel nome: ‘Educare alle relazioni'”. Così, in un articolo pubblicato su La Stampa, Vittorio Lingiardi, psichiatra e professore di Psicologia dinamica all’Università La Sapienza di Roma, commenta il piano del Ministero dell’Istruzione e del merito per contrastare la violenza sulle donne. “L’accento sulle relazioni mi sembra opportuno – spiega -, in un mondo sempre più virtualizzato e banalizzato, è nostro compito educare al rispetto dei corpi e delle relazioni e diseducare alla trasmissione acritica degli stereotipi di genere. Giusta anche l’idea di procedere con gruppi di discussione“. Un progetto quello che partirà già da quest’anno in via sperimentale che per lo psichiatra ha punti di forza come di debolezza, luci e ombre. 

Per esempio, dice Lingiardi: “Molto dipenderà dalla qualità e dalla competenza degli ‘educatori’ coinvolti. Se sono incapaci è un bel problema. Già saper fornire informazioni non è semplice (..) ma quando occorre mettersi in gioco su e con temi emotivamente forti, ci vuole una formazione professionale, che significa, tra le altre cose, specificità, aggiornamento, astensione dal giudizio. Bene sentire che all’Ordine degli Psicologi chiederemo aiuto per la formazione dei docenti, per la loro assistenza e per il monitoraggio conclusivo'”.

Altro punto debole: “Quando leggo ‘extra curricolare’ e, soprattutto, ‘adesioni facoltative’ ho paura che tutto rischi di finire nel vago. Speriamo non sia così. Il monitoraggio e lo studio dei feedback sarà fondamentale per sviluppi futuri”.

Educare alle relazioni non può che essere un progetto a lunghissimo termine in vista di trasformazioni culturali profonde – tira le somme del suo ragionamento Lingiardi -. Partire dal coinvolgimento scolastico delle e dei più giovani, appassionandoli a un racconto alternativo a quello millenario dell’inferiorità femminile, può e deve essere un primo passo. Magari con storie capaci di disattivare fallacie cognitive tipo ‘se l’è andata a cercare’ oppure ‘il raptus di un bravo ragazzo’. Sarà importante parlare della violenza degli aggressori, ma anche fornire alle ragazze strumenti diagnostici per riconoscere certi segnali e sfilarsi da incontri pericolosi e relazioni tossiche. E per conoscere meglio se stesse. In molti casi l’ideale sarebbe un rapporto individuale e/o di gruppo con figure professionali competenti nell’ascolto, nell’esplorazione e nel sostegno. Mentre lavoriamo perché questo ideale sia realizzabile, promuovere azioni di terapia sociale e scolastica, se con gli strumenti giusti e le capacità adeguate, è un passo da guardare con favore”.
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA