Olimpiadi e Doping, una proposta drastica

Le Olimpiadi di Atene, che hanno risvegliato nell’immaginazione collettiva l’epica figura dell’atleta greco, stanno naufragando negli abissi del doping, risucchiando nei vortici proprio gli emblemi della patria di Omero.

I due velocisti del team ellenico, uno dei quali indicato come il più rappresentativo della nazione, al punto da affidargli l’ultimo tratto della staffetta olimpica a simboleggiare la purezza, la lealtà del messaggio universale dello sport, sono stati beccati con le dita nella marmellata, vanificando gli sforzi della Grecia e dei greci nell’allestimento dei giochi. Cose che capitano, direbbero i più assuefatti ad una pratica insensata che, tuttavia, non si ha il coraggio di estirpare. Gli strumenti eppure esisterebbero. Anzi, uno solo sarebbe sufficiente: la squalifica a vita dell’atleta. La soluzione drastica, purtroppo, non trova d’accordo sponsor e federazioni che misurano su record e vittorie la ragione della loro esistenza.

Più grave è stato il tentativo patetico della Grecia di nascondere dietro l’infantile bugia di un incidente di moto l’impossibilità dei due atleti di presentarsi alle analisi del Cio, quando avrebbe dovuto condannare senza reticenze il comportamento colpevole dei suoi rappresentanti.

Il dubbio che ogni prestazione di questi giochi nasconda il ricorso a subdoli mezzi per arrivare a primeggiare è il danno più evidente per lo sport, riducendo lo sforzo tecnico, l’abilità dei singoli e la dignità dei vincitori a pura esibizione che di sportivo ha perso ogni senso.