Nuove dispute sulla lingua: il riassunto salverà l’italiano?

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Sarà forse perché i grandi quotidiani, che hanno fatto negli ultimi anni ampio uso e abuso di termini inglesi, si stanno rendendo conto di aver esagerato, ma colpisce il fatto che Repubblica e Corriere della Sera siano scesi in campo nei giorni scorsi con articoli e iniziative editoriali volti a mettere in discussione se non l’uso almeno l’abuso di parole ed espressioni importate dal mondo anglosassone, a volte in modo del tutto improprio se non ridicolo (come nel caso del termine footing, che non significa ‘corsa’ – casomai si dice jogging – ma ‘posizione’…).

Si tratta, in primo luogo, di rafforzare l’uso consapevole di un lessico più ricco e articolato, in controtendenza con il linguaggio sincopato dei social media (espressione, questa sì, difficilmente traducibile) come twitter, facebook, instagram, whatsapp ecc.  È questo l’obiettivo che si propone di raggiungere uno dei più noti linguisti italiani, Luca Serianni, recentemente chiamato dal ministro dell’istruzione Fedeli a guidare un gruppo di lavoro, di cui faranno parte anche esperti dell’Invalsi, con l’obiettivo di migliorare l’apprendimento e il corretto uso della lingua italiana, come richiesto con forza anche nel documento sottoscritto da 600 intellettuali e docenti universitari nello scorso mese di febbraio.

Ne parla lo stesso Serianni in un’ampia intervista rilasciata a Ilaria Venturi di Repubblica, intitolata ‘Dalle medie alla maturità meno temi e più riassunti’, partendo dalla “rivisitazione” delle prove d’esame di italiano, prima quella di terza media, poi quella della maturità. Il riassunto, a suo avviso, 

non è un esercizio banale, ma ha un peso importante. Si tratta di rendere in modo efficace un testo di partenza senza sbrodolare, gerarchizzando le informazioni”. Fondamentale è “la capacità di strutturare un discorso e di riconoscere se è ben fatto”, perché i giovani “saranno chiamati a interpretare ciò che li circonda nel mondo, a comprendere un testo, sia esso un modulo, una circolare, un documento”. E dunque saranno date “indicazioni su come sviluppare le capacità di argomentazione e cioè su come dominare i connettivi del discorso, l’uso dei quindi, degli infatti e dei perché”.

Il coinvolgimento dell’Invalsi fa supporre che si sia scelto di influire sulla didattica dell’italiano a partire dalla prova scritta di fine ciclo, come in qualche modo è avvenuto con l’inserimento della prova Invalsi nell’esame di licenza media (decisione poi rivista dalla legge 107). Lo conferma lo stesso Serianni nell’intervista: “Partiremo dalle prove d’esame perché è la condizione per orientare il percorso formativo degli insegnanti. Non posso fare l’elogio del riassunto se poi all’esame non c’è, indebolirebbe la sua introduzione nel programma scolastico”. L’obiezione potrebbe essere la stessa che in questi anni è stata rivolta ai test Invalsi, quella di esercitare una forzatura sugli insegnanti, sulla loro autonomia didattica. In realtà autonomia non significa deregulation (tanto per usare un termine inglese…), per cui ognuno fa quel che vuole. Ci sono degli indirizzi generali all’interno dei quali muoversi, con autonomia. Come sempre le cose si possono vedere da vari punti di vista. Ora che si è (opportunamente) deciso di togliere la prova Invalsi dall’esame di terza media per evitare il teaching to the test, e di non inserirla nell’esame di maturità, ne avremo una riedizione in forma di teaching to the summary? Il dubbio è legittimo, e il dibattito è aperto.

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