Itanglese? No grazie

Nuove dispute sulla lingua/2

Sulla trincea della difesa (comunque non integralistica) della lingua italiana dall’assalto di parole ed espressioni anglo-americane si attesta il Corriere della Sera che ha avviato, a partire dal giorno 20 settembre, la pubblicazione di una collana di 25 volumi intitolata ‘Biblioteca della lingua italiana’, curata dal linguista Giuseppe Antonelli, che si apre con un testo introduttivo di Tullio De Mauro, “Prima lezione sul linguaggio”.

L’opera si articola poi in quattro moduli di sei volumi ciascuno (rispettivamente sulla grammatica, sui registri espressivi, sulla storia della lingua, sul suo uso letterario), e comprende contributi non solo di linguisti (tra i quali lo stesso Antonelli, Luca Serianni, Giorgio De Rienzo, Vittorio Coletti, Gianluigi Beccaria) ma di scrittori come Gianrico Carofiglio, giornalisti come Beppe Severgnini, studiosi della lingua nell’opera lirica e nelle canzoni.

Presentando la collana sul Corriere Antonelli ne parla come di un “viaggio nell’‘idioma gentile’” (espressione usata da Edmondo De Amicis in un libro del 1905) che “cambia restando sé stesso”. Senza accanimenti puristi ma anche nella consapevolezza della grande storia di una lingua che affonda le sue salde radici nella tradizione, a partire da quella trecentesca. Ma la lingua va conosciuta, conservata e curata perché è parte essenziale, costitutiva dell’identità nazionale: noi “siamo ciò che diciamo perché l’italiano siamo noi”, come si legge nel titolo dell’articolo.

In questo contesto di orgogliosa riproposizione della ricchezza e della vitalità della lingua italiana non poteva mancare una presa di distanza dalle crescenti contaminazioni linguistiche di derivazione angloamericana che hanno indotto qualcuno a parlare di una neolingua, l’‘itanglese’, versione nostrana dello spanglish parlato dagli americani di origine ispanica.

Niente di tutto questo, assicura Antonelli. Già in passato si è più volte lamentato lo stravolgimento della lingua italiana. “E invece, la nostra lingua ha vinto la sfida coi francesismi (e vincerà allo stesso modo quella con gli anglicismi), ha trovato una forma di convivenza con i dialetti (…), ha lasciato cadere a una a una le varie mode. Perché le mode passano, l’italiano resta”. Un auspicio, una profezia? Non sappiamo, ma un’opera come questa aiuta a essere ottimisti.

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