Cosa possono fare le scuole autonome per gestire le esperienze di mobilità degli studenti come un elemento di “integrazione” del curricolo, anziché come una sua “turbativa”? Con quali strumenti è possibile valutare quanto l’esperienza interculturale dia allo studente in termini di saper fare e saper essere e cioè di crescita personale, anziché misurare solo quel che gli ha tolto in termini di sapere, cioè di nozioni? Su questi temi l’Associazione Nazionale Presidi (Anp), l’Invalsi (ex Cede) e Intercultura hanno promosso un convegno che si svolgerà il 2 e il 3 ottobre a Frascati (Roma), rivolto ai dirigenti e ai docenti di tutt’Italia.
Il tema del convegno, spiega un comunicato Anp, prende lo spunto dalla constatazione che la mobilità studentesca – sia individuale che di classe – si è rapidamente sviluppata negli ultimi dieci anni, mantenendo però in molti casi il carattere di una “parentesi”, cioè di un’esperienza che interrompe il normale lavoro didattico e che non viene realmente utilizzata nell’attività normale della scuola. La causa di ciò risiede probabilmente nel suo essere “diversa” rispetto alla routine di lavoro consolidata.
D’altra parte, l’autonomia delle scuole è stata istituita proprio per farsi carico delle “diversità”, considerate come una ricchezza e non come un limite.
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