Ministero dell’Istruzione e del Merito: cosa si intende con la parola ‘Merito’?

Che cosa esattamente si intende dire con la parola “merito”, ora aggiunta a “Ministero dell’Istruzione”? È probabile che l’intenzione di chi ha voluto questa singolare integrazione della classica denominazione del Ministero dell’Istruzione (già “Pubblica Istruzione” o “MIUR” quando fu unificato con Università e Ricerca) sia quella di evidenziare l’importanza della serietà e dell’impegno come precondizioni per il riconoscimento del merito (da premiare) riferito a tutti gli attori del processo educativo: alunni, insegnanti, dirigenti scolastici. Essenziale è però capire chi valuta che cosa, come e perché, con quale obiettivo.

Nel caso degli studenti la valutazione del merito riferita alle loro prestazioni è effettuata dagli insegnanti (valutazione didattica) oppure da appositi istituti di valutazione come l’Invalsi sulla base di prove oggettive (valutazione di sistema). Nel secondo caso non è previsto che sia valutata la performance – e quindi il merito – a livello individuale. L’onere di valutare gli studenti e il loro “merito” spetta dunque agli insegnanti, e il fatto che la parola merito compaia addirittura nella nuova denominazione del Ministero lascia intendere che l’intento di questo governo è quello di sollecitare un maggior controllo non solo delle prestazioni ma anche del comportamento degli studenti da parte degli insegnanti. Un maggior rigore e una maggiore selettività? Meno “buonismo” e maggiore severità? Un invito subliminale anche a bocciare chi non “merita”? O solo un appello a premiare il maggiore impegno degli studenti? Si capirà di più dalle indicazioni e dalle decisioni che prenderà il ministro Valditara.

Sul versante degli insegnanti non esiste in Italia una procedura di valutazione formale della loro attività che faccia riferimento alla qualità delle loro prestazioni individuali, salvo quanto previsto dalla legge n. 107/2015 (Buona Scuola) che tra le competenze del dirigente scolastico aveva inserito anche quella di assegnare premi economici ai docenti che egli ritenesse meritevoli di tale riconoscimento sulla base di criteri generali (non vincolanti) stabiliti da un apposito comitato per la valutazione dei docenti. Norma poi contestata dai sindacati, che hanno ottenuto di poter contrattare a livello di istituto l’ammontare del valore economico minimo o massimo per il premio individuale, la differenziazione minima tra le somme distribuite, la percentuale dei beneficiari, le modalità di presentazione e valutazione delle candidature. La decisione finale compete al dirigente scolastico, ma è chiaro che a quel punto il suo potere decisionale è praticamente nullo. Verrà ripristinato in qualche modo in omaggio al nuovo identikit meritocratico del Ministero?

Va sempre ricordato che il più importante tentativo di differenziare in maniera significativa il trattamento economico di una parte degli insegnanti (circa un quinto) sulla base di criteri oggettivi volti ad individuare il loro merito – quello effettuato dal ministro Luigi Berlinguer nel febbraio 2000 – fu vanificato dalla diffusa contrarietà degli insegnanti, tradottasi in un imponente sciopero spontaneo che costrinse i sindacati a una rapida retromarcia e il ministro alle dimissioni. (O.N.)

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