Milleproroghe? ‘De che’?

Da anni, ritualmente, il Governo di turno presenta allo scadere dell’anno un decreto legge, cosiddetto di “milleproroghe”, per salvare taluni provvedimenti legislativi i cui tempi di attuazione, troppo ravvicinati, ne possono pregiudicare l’avvio.

La proroga serve a salvare provvedimenti in scadenza o a rinviarne l’attuazione di altri dei quali il legislatore aveva forse calcolato ottimisticamente tempi brevi di avvio.

Anche quest’anno puntualmente il Governo ha varato un nuovo decreto legge ‘milleproroghe’ (decreto legge 30 dicembre 2019, n. 162) con una titolazione che sembra non ammettere deroghe o forzature: Disposizioni urgenti in materia di proroga di termini legislativi, di organizzazione delle pubbliche amministrazioni, nonché di innovazione tecnologica. 

La definizione di proroga che ne dà il Sabatini Coletti nel suo dizionario italiano è “Rinvio di un termine, di una scadenza, oppure la dilazione concessa al debitore per soddisfare la sua obbligazione”. Ma evidentemente per la conversione in legge del DL 162/2019 il concetto di proroga è molto ampio e flessibile.

Non soltanto c’è qualche sindacato della scuola che nel presentare decine di propri emendamenti (affidati probabilmente a qualche parlamentare amico) non si limita a rispettare la consegna, ma va fuori tema proponendo abrogazioni e integrazioni normative, ma ci sono anche parlamentari di maggioranza e opposizione che fanno altrettanto, presentando emendamenti abrogativi o integrativi.

Quel che stupisce è che nei primi lavori in commissione diversi di quegli emendamenti che nulla hanno a che fare con la proroga sono stati dichiarati ammissibili.

Ma se lo stesso Parlamento sorvola sulla ammissibilità degli emendamenti che non prevedono proroghe di alcun tipo anche per la scuola, c’è da sperare soltanto sull’intervento del presidente della Repubblica, arbitro e controllore super partes.