Madri ‘tigri’ magari no, ma pecore è peggio

Ha fatto notizia il saggio della giurista americana di origine cinese Amy Chua, docente a Yale, pubblicato sul Wall Street Journal e intitolato “Inno di battaglia della madre tigre”.

Vi si sostiene che se si vuole ottenere risultati d’eccellenza nell’educazione dei figli occorrono una disciplina di ferro da parte dei genitori e la massima determinazione da parte dei figli nel conseguimento dell’obiettivo, per esempio quello di essere il migliore della classe, possibilmente in tutte le materie. Così, niente TV, palmari, messaggini, riunioni con amici, e molta capacità di sacrificio, applicazione negli studi, autodisciplina. Il tutto imposto ai figli in particolare dalla madre, che li segue più da vicino: una madre che deve comportarsi da ‘tigre’, sostiene Chua, se vuol fare  davvero il loro interesse.

E’ sorprendente che la prof sino-americana sia riuscita a imporre tutto ciò a sua figlia, come scrive nel suo saggio, perché il contesto della scuola USA, e più in generale della società americana, non si presta certo a pratiche di questo genere. Può darsi – mancano notizie dettagliate in proposito – che la Chua si sia avvalsa di metodologie di insegnamento/apprendimento estremamente individualizzate come quelle dello homeschooling, abbastanza diffuso negli USA. Ma alle spalle delle scelte educative di questa ‘madre tigre’ si avverte una concezione della scuola e del ‘dovere’ tipica delle società e delle culture dell’estremo Oriente: quella che consente agli studenti cinesi e coreani di piazzarsi ai primi posti nelle indagini comparative IEA e OCSE-PISA.

Un modello difficilmente esportabile, perché affonda le sue radici in culture plurisecolari e in un senso del ‘dovere’ ormai sconosciuto nelle permissive e iperprotettive società consumistiche del mondo ‘occidentale’. Dove troppe madri ‘pecora’ (salvo diventare ‘iene’ con gli insegnanti se danno un brutto voto a propri figli ‘asini’) finiscono però per fare più danni delle madri ‘tigri’.