L’Italia spende per la scuola, ma spende male

Non è vero che l’Italia spende poco per il suo sistema di istruzione. E’ vero invece che spende male, cioè che i risultati ottenuti dagli studenti non sono proporzionati allo sforzo economico, come dimestrano varie indagini comparative internazionali, la più recente delle quali, la PIAAC, mette l’Italia in coda alla classifica di 24 Paesi per le competenze linguistiche e matematiche degli adulti.

La tesi è ripresa in un interessante articolo a firma Stefano Scabbio, pubblicato sul quotidiano  MF – Mercati Finanziari. “Spesso ci si maschera dietro il fatto che la spesa italiana sia bassa“, si legge nell’articolo, “ma i dati ufficiali riportano per l’istruzione primaria una spesa di 8.669 dollari annui per studente (rispetto alla media Ocse di 7.719) e per l’istruzione secondaria, malgrado i tagli dell’ultimo decennio, una cifra in linea con la media Ocse: 9.112, contro una media di 9.312“.

Anche il numero di studenti per insegnante, in Italia assai basso nell’istruzione primaria, lo è anche in quella secondaria rispetto alla media Ocse (12 contro 13,8). “Ciò che differenzia in peggio la nostra scuola rispetto agli altri Paesi“, scrive Scabbio, “è probabilmente (anche se non facile da individuare sulle tabelle) la qualità degli insegnanti, selezionati alla fine di lunghi precariati, cui consegue l’automatismo dell’ope legis in base all’anzianità e non al merito. Con tali criteri non si possono attrarre nella scuola i laureati migliori, che fanno rotta su ben altre collocazioni“.

A ciò si aggiunge  “la pressochè totale assenza di collegamento con il sistema delle imprese e il mondo del lavoro. Mentre in altri sistemi di istruzione, come in Germania, specie nell’istruzione tecnica e professionale, o nei Paesi nordici, c’è uno scambio continuo e una comunicazione assidua fra scuola e imprese, e spesso già quando giunge al diploma uno studente ha fatto uno stage in azienda, per gli studenti italiani fino alla maturità l’impresa resta un’Araba Fenice“. 

Non manca qualche eccezione, nota l’articolista, e in tal caso “si vedono gli effetti positivi in termini di qualità della formazione e sbocchi professionali a breve dei giovani diplomati“. Nelle scorse settimane il ministro dell’Istruzione e dell’Università “ha manifestato una certa sensibilità su tale questione“, così si conclude l’articolo, e perciò “attendiamo fiduciosi passi concreti“.

Qualche passo nella direzione auspicata da MF Finanze lo fa il decreto legge ‘L’Istruzione riparte’, attualmente all’esame del Parlamento, dove sono stati presentati e in parte approvati emendamenti che rafforzano le misure a sostegno dell’alternanza scuola-lavoro. Servirebbe però un disegno organico, una strategia complessiva che per ora non sembra essere tra le priorità del Governo.