L’illusione dell’abilitazione

Vi sono diversi gradi di precariato. Abbiamo parlato soprattutto di quelli già “in campo”, cioè i docenti con contratto a tempo determinato annuale o fino al termine delle attività didattiche, ma ci sono anche i precari in lista di attesa che rappresentano, grosso modo, la metà dei 227mila circa gli iscritti nelle graduatorie ad esaurimento di cui ha parlato con puntualità una recente pubblicazione del Miur: metà precari sono in campo o attendono la conferma di chiamata dell’anno scorso per un contratto a tempo determinato, mentre l’altra metà attende tempi migliori e, nel frattempo, forse fa altro.

La situazione dei precari della scuola (in campo o in panchina, per usare un gergo calcistico) rappresenta, a ben pensarci, un fatto abnorme nell’ambito dei comparti pubblici e unico in ambito europeo. Perché ci sono tanti precari? Da dove vengono?

Per capire come si è andato formando questo popolo di docenti (alcuni anni fa erano più di 300mila) che aspettano una chiamata o un posto fisso bisogna tener conto di due questioni normative della nostra scuola. Per insegnare occorre un’abilitazione all’insegnamento, non essendo sufficiente il possesso di laurea; per accedere ad un “impiego” pubblico occorre un concorso.

Da tempo il legislatore ha previsto che l’abilitazione si consegue superando un concorso per insegnare, anche se non si è vincitori di concorso.

Negli anni sono stati inventati anche corsi speciali abilitanti per accelerare le immissioni in ruolo, soprattutto nei casi di ope legis. Anche la frequenza delle SSIS ha consentito il conseguimento della abilitazione; lo stesso per i laureati in scienze della formazione primaria.

L’abilitazione o un concorso superato ma non vinto ha consentito l’iscrizione a graduatorie per le immissioni in ruolo o, in subordine, per accedere alle supplenze. L’esercito dei docenti abilitati o iscritti in graduatoria di concorso senza essere vincitori ha infoltito via via quelle graduatorie arrivando a livelli abnormi.

L’abilitazione è diventata un po’ l’illusione per un posto fisso nella scuola.