Liceo classico sugli scudi: un’operazione massmediatica?

Nei giorni scorsi alcuni quotidiani hanno presentato l’incremento di poco più di un punto percentuale registrato nel biennio 2001-2003 negli iscritti al liceo classico (dall’8.3 al 9.6% sul totale degli iscritti al primo anno) come una specie di svolta epocale nella scelta delle famiglie, e una rivincita della cultura umanistica su quella tecnico-professionale.
Anche Tuttoscuola, nel numero di febbraio in distribuzione, aveva rilevato in anticipo il fenomeno (segnalandolo già nello speciale iscrizioni del 5 gennaio), ma si è ben guardata dal trarne conclusioni così impegnative. In questa occasione, si sono invece riascoltate e rilette parole da tempo messe da parte, ma evidentemente non dimenticate: che il liceo classico rappresenta, in sostanza, la scuola che forma, che insegna a ragionare. Luoghi comuni che non tengono conto del fatto che l’utenza dei licei classici è, come molti studi sostengono, socialmente e culturalmente preselezionata.
Poca o nessuna attenzione invece, come sempre, viene riservata ai 552.000 allievi degli istituti professionali, che restano più del doppio degli iscritti al liceo classico (249.000), e che continuano ad avere il 22% del totale degli iscritti al primo anno, nonostante le incerte prospettive di sopravvivenza.
La spiegazione dell’espansione dei licei (classico, scientifico, pedagogico: sono tutti in crescita) è probabilmente molto più semplice, e si lega al fatto che la riforma Moratti indica con chiarezza il sistema dei licei, mentre rinvia a complessi passaggi istituzionali e progettuali la definizione del percorso di istruzione e formazione professionale: e come ha notato la preside del liceo Beccaria di Milano, “il liceo è come un bene rifugio nei periodi di incertezza“.