LES: non servono piccoli aggiustamenti

Il dibattito sull’educazione economica prosegiue. Pubblichiamo oggi l’articolo che ci ha inviato il professore Pasquale Andreozzi invitando gli altri lettori a inviarci le loro opinioni sul tema (o su altri temi nuovi da proporre), scrivendoci come di consueto a botta_e_risposta@tuttoscuola.com.

Le ragioni educative e culturali che motivano il rilancio dei percorsi di studio in economia e diritto con la proposta di istituire i nuovi LES sembrano chiare e molti degli interventi hanno già individuato il cuore della questione. Si può facilmente immaginare, infatti, il potenziale di innovazione didattica che è possibile praticare con discipline per loro natura strettamente interconnesse con le economie e le istituzioni nazionali ed internazionali. D’altra parte, come sottolinea il prof. Cavazzuti, questa visione globale, delle culture, delle strutture giuridiche, delle vocazioni produttive, dei sistemi di produzione, dell’innovazione tecnologica, dei meccanismi di produzione e trasmissione della ricchezza, del circuito monetario e finanziario, è stata l’ispirazione di fondo dei grandi testi classici che continuano, proprio per questo, e giustamente, ad essere studiati. È la stessa ispirazione, mi sento di aggiungere, dei migliori testi di diritto ed economia scritti per le scuole superiori o per le università (pieni di casi, fatti e indicazioni), che aiutano a riflettere sul tempo presente, a formare la coscienza critica, a comprendere come tecnicamente funzionano le cose.

Mentre non ho alcun dubbio sul fatto che questa offensiva culturale a sostegno dell’estensione dello studio del diritto e dell’economia sia una buona pista per rinnovare la scuola italiana e la qualità della didattica, ho molte perplessità che essa possa avere successo nel nostro sistema scolastico.

La proposta di istituzione dei LES (e sottolineo di sostegno alle discipline economiche e giuridiche) non credo possa trovare l’ascolto che merita perché in Italia nelle scuole, in particolare nelle secondarie, e nelle strutture ministeriali è ancora egemone la seducente idea dell’insegnante neoidealista che insegna greco, latino, italiano e filosofia, che ancora oggi sono ritenute discipline di ben altra stazza rispetto alle miserrime ricette di tutte le altre che non siano quelle, comprese l’economia e il diritto che vivono, peraltro, uno strano destino dal momento che la maggioranza dei liceali le sceglie nelle facoltà universitarie, eppure, nelle scuole secondarie, esse sono insegnate in istituti considerati da quella stessa cultura di serie B e marginali.

Intendiamoci, la cultura classica o le materie letterarie sono per me il sale della vita, il fatto però è che qui in Italia da un lato se ne esagera l’importanza (scusate lo schematismo) e, dall’altro, con quella versione della cultura neoidealista si è inventato un grande alibi per respingere le innovazioni didattiche e disciplinari.

È ben difficile che la situazione possa cambiare. Infatti, quale significato pensate che abbia il riordino gelminiano, che io definisco neogentiliano? e quale pensate che sia la discussione “culturale” nei licei che hanno introdotto le poche opzioni possibili: scienze applicate e, appunto, l’opzione economico sociale? una lotta furibonda per impedire ai moderni lanzichenecchi di entrare a Roma.

Non dimentichiamo, inoltre, che le riforme scolastiche in Italia hanno sempre trovato un ostacolo insormontabile nel nodo del personale.

Checché se ne dica, se vogliamo guardare in faccia la realtà, gli esuberi dei docenti ci sono, anche se non sono generalizzati. Come tuttoscuolA sa bene, sono tantissimi e diffusissimi nel primo ciclo, mentre nel secondo ciclo dipende dalle discipline (in prevalenza letterarie e umanistiche, appunto), per non parlare delle lunghe liste di precari.

Voi pensate che sia possibile introdurre nuovi licei o sostenere il rafforzamento di taluni percorsi di studio senza un lungo estenuate scontro di tutti contro tutti? che con tutta probabilità, come è sempre accaduto, si risolverebbe con qualche aggiustamento (un’oretta qui, un’altra lì, finte autonomie sperimentali, giuramento sui diritti acquisti e via discorrendo)?

Vi è poi il capitolo della formazione professionale dei docenti che dovranno insegnare queste discipline, quella sonnacchiosa e contabile che in prevalenza vediamo all’opera nelle poche scuole che insegnano economia e diritto, certo, non è in grado di esprimere il potenziale innovativo anzidetto.

Sono molto pessimista, è vero, cionondimeno penso che un modo, anche se labile, per riuscire a vincere le forti resistenze strutturali vi sia e sia quello di insistere non solo dall’interno delle scuole e non solo in occasione di qualche convegno ma, come sta avvenendo attraverso voi, aggregando varie realtà istituzionali e associative del mondo produttivo e culturale e fino a quando sarà necessario.

Pasquale Andreozzi, docente