
Le competenze digitali nel futuro della scuola e del lavoro

La tematica delle competenze è da decenni all’ordine del giorno della ricerca e del dibattito, almeno da quando si cominciò a parlarne, negli ultimi due decenni del secolo scorso, in relazione al miglioramento della qualità e della produttività del lavoro nei sistemi industriali.
Fu allora che venne introdotta la distinzione tra hard skills, le conoscenze e abilità tecniche ritenute necessarie per svolgere mansioni e compiti specifici, e soft skills, le abilità personali e interpersonali che possono essere esplicate in diversi tipi di lavoro e situazione, come le capacità di comunicazione, di lavoro in squadra e di risoluzione dei problemi, l’empatia.
In Italia fu in particolare l’ISFOL (Istituto per la formazione dei lavoratori, trasformato nel 2016 nell’INAPP – Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche) a lavorare sul tema, analizzato nel volume “Competenze trasversali e comportamento organizzativo” (1993), con una prima definizione delle soft skills come competenze “trasversali”, utili quanto le hard per migliorare l’efficienza dei sistemi produttivi.
L’avvento del personal computer, di internet 2.0 (2004), dello smartphone e dei social media, esplosi negli ultimi 10 anni, ha poi reso indispensabile la padronanza di una nuova competenza, quella digitale, indispensabile ormai per un crescente numero di attività lavorative e anche per l’esercizio dei fondamentali diritti di cittadinanza, e la cui conoscenza non può che cominciare dalla scuola.
In tutto il mondo competono in materia approcci diversi, da quello iper-liberistico degli USA a quello centralizzato e controllato della Cina, fino a quello messo a punto con tempestività (che non si vede in altri campi, malgrado i moniti di Mario Draghi) dall’Unione Europea, che in materia di certificazione di tali competenze ha varato i framework europei DigComp e DigCompEdu (per i quali Tuttoscuola ha predisposto appositi corsi di formazione), e altri come GreenComp (competenze per la sostenibilità), EntreComp (competenze imprenditoriali), LifeComp e altri. Tali framework sono presi a riferimento per il Repertorio delle qualificazioni del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, costituito da micro qualificazioni riferite ai singoli risultati attesi (DM n. 115 del 9/7/2024 del Ministro del lavoro). Il Repertorio delle qualificazioni è collegato con l’Atlante del lavoro, necessario a consentire “la certificazione delle competenze di base e trasversali attraverso l’implementazione dei vigenti quadri” dell’Unione Europea e internazionali. E qui entrano in gioco le certificazioni sotto accreditamento, di cui abbiamo parlato la scorsa settimana. Quelle utilizzate in tutti i campi – dall’aerospazio all’agricoltura ai servizi – e in tutto il mondo, nell’ambito delle norme UNI (Ente Italiano di Normazione), EN (norme europee) e ISO (International Organization for Standardization).
La “vecchia Europa”, come la definisce Trump, cui si affianca anche il Regno Unito con il suo programma Skills England, almeno in questo campo appare più attrezzata e avveduta dei suoi competitori geoplanetari. Anche perché sa riflettere e progettare in materia di competenze e metacompetenze, come mostra in Italia un libro a queste ultime dedicato. Ne parliamo nella notizia successiva.
Per approfondimenti:
– Dopo i diplomifici, i ‘certificati-fici’: ma che scuola è? (e quale Paese?). Cambiamo pagina
– Con la certificazione sotto accreditamento, fuori i mercanti dal tempio dell’Educazione
– L’unione (delle competenze) fa la forza
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