La scuola italiana è poco esigente con gli studenti?

Si discute molto del sondaggio condotto dall’Istituto Eumetra MR di Milano, che fa capo a Renato Mannheimer, sul giudizio che gli italiani danno della scuola e della sua capacità di preparare adeguatamente gli studenti.

Il sondaggio, commissionato all’istituto milanese dal «Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità», è stato realizzato utilizzando un campione rappresentativo della popolazione adulta di 800 persone. Il giudizio è critico: per il 60% degli intervistati “la scuola italiana non è sufficientemente esigente per ciò che riguarda la preparazione degli alunni”, ma questa percentuale sale al 73% tra i giovani tra i 18 e i 24 anni di età, ed è molto alta anche tra imprenditori e liberi professionisti.

Egualmente critico il giudizio sulla eccessiva permissività della scuola in materia di valutazione della condotta (il 68% ritiene sbagliata la abolizione della bocciatura per il 5 in condotta) e di copiatura dei compiti, un tema sul quale il Gruppo di Firenze è tornato più volte.

Come rimediare? La ricetta che l’esito del sondaggio sembra suggerire è nota: serve più severità, nell’interesse degli studenti. Sul blog del Gruppo si ricorda polemicamente che “Stare dalla parte dei ragazzi significava per don Lorenzo (Milani, Ndr) costringerli a riscattare con lo studio e il sacrificio quotidiano la propria condizione di povertà e di emarginazione”, un messaggio “successivamente sostituito da molti suoi tardi epigoni con una più spendibile pedagogia giustificazionista e permissiva”.

Ma non si può neanche non considerare che la scuola statale perde nei cinque anni di istruzione secondaria superiore quasi il 30% dei suoi iscritti al primo anno. E che registra un così pesante divario nei livelli di apprendimento tra Nord e Sud. Con gli attuali assetti scolastici la ricetta della maggiore severità migliorerebbe o peggiorerebbe la situazione? Forse sarebbe più produttivo che il dibattito riguardasse il ripensamento e la rifinalizzazione di tali assetti in direzione di una maggiore flessibilità e personalizzazione dei curricula, di una forte azione di sviluppo dei nidi e delle scuole dell’infanzia soprattutto del Sud, e di criteri di valutazione riferiti non ad astratti standard di prestazione ma ai potenziali educativi individuali: il modo pedagogicamente e socialmente più efficace per combattere il fallimento e l’esclusione scolastica. Conservando il giusto livello di severità che accompagna una buona educazione.