Tuttoscuola: Il Cantiere della didattica

La scuola come occasione di propaganda elettorale/2: i dialetti e gli alunni stranieri

La proposta del ministro Zaia per insegnare il dialetto veneto nelle scuole è stata criticata dallo stesso ministro dell’istruzione Gelmini come propaganda elettorale (anche se lei stessa, in replica, ha ceduto poi alla tentazione di esaltare valori localistici cari al popolo leghista).

Sull’onda del rilancio della lingua veneta, altri parlamentari leghisti hanno annunciato la presentazione alle Camere di un disegno di legge per insegnare in tutte le scuole il dialetto locale. Urgono ben altri problemi formativi e di istruzione per stare in Europa a pieno titolo (si veda il servizio di TuttoscuolaFOCUS n. 287/393 sul ritardo dell’Italia rispetto agli obiettivi di Lisbona); altro che dialetti da insegnare a scuola (chi li insegna? Come? Con cosa?).

Ma un’idea del genere fa piacere ad un certo elettorato, e la possibilità di usare la scuola come occasione di messaggio per gli elettori è troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire.

Una scuola decide, legittimamente, di cambiare la sua intitolazione forse per ritornare nell’anonimato e smorzare le attenzioni eccessive della stampa e dei politici per il fatto che ha molti stranieri iscritti? Da un illustre personaggio risorgimentale si vuole passare ad uno “sconosciuto” pedagogista giapponese (extracomunitario, dunque).

Apriti cielo! I valori della patria, la tradizione, l’italianità, la memoria degli eroi, ecc, sono in pericolo e il nemico (straniero) avanza, secondo una precisa strategia “della sinistra”. Si abbatte sulla scuola un fuoco incrociato di pressioni, di critiche, di inviti a desistere fino a che la dirigente scolastica si impegna a rivedere la delibera con il consiglio di istituto.

La patria è salva, la scuola un po’ meno, ma tanto, passate le elezioni chi se ne ricorderà?

A elezioni avvenute, infatti, i problemi veri della scuola rimarranno ancora una volta orfani di difensori credibili.

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