La riforma meritocratica dell’università e della scuola aiuterebbe l’uscita dalla crisi, ma ….

Angelo Panebianco, sul Corriere di oggi, svolge una analisi sulla situazione della crisi e sulle prospettive del suo superamento, ponendo particolare attenzione al settore dell’università e della scuola, strategici per lo sviluppo, se coinvolti in una riforma meritocratica.

Se la soluzione meritocratica è quella vincente, “Potrà mai il Parlamento (nelle sue componenti di destra e di sinistra) – si chiede Panebianco – consentire davvero incisive riforme meritocratiche nel settore dell’istruzione? Ne dubito“.

La ragione del pessimismo dell’editorialista non è tanto riferita alla resistenza di qualche “barone” o di qualche preside di liceo, ma al fatto che “verrebbero scossi equilibri territoriali locali, consolidati“, soprattutto, ma non solo, nei confronti di piccole università di provincia.

Una riforma meritocratica dirotterebbe i finanziamenti su centri e ricercatori migliori, mettendo in ginocchio i centri universitari pessimi. “Ma quei centri – osserva Panebianco – sono pur sempre erogatori di stipendi e di rendite, e grazie ad essi vive anche un esteso indotto cittadino. Inoltre, essi contano sulla complicità delle famiglie le quali, pagando tasse basse, assicurano, comunque, ai propri figli diplomi dotati di valore legale“.

In qualche modo lo stesso discorso, crediamo, possa valere anche per il settore della scuola.

Ne è stata una prova l’anno scorso la rilevazione dell’esistenza di circa 1.500 istituzioni scolastiche che nell’arco di sette-otto anni sono andate sotto i parametri di legge per perdita di popolazione scolastica, ma hanno continuato a vivere con spese notevoli a carico dello Stato (presidenze e segreterie), mentre alcune regioni e molti comuni facevano resistenza per mantenerle, nonostante non vi fosse alcuna ricaduta negativa sul servizio per gli alunni perché le scuole amministrate da quelle presidenze non venivano toccate.