La guerra dei test/3. Israel: vade retro test

Questa volta non ha usato formule esorcistiche del tipo ‘vade retro test’, titolo di un suo articolo pubblicato lo scorso mese di aprile sul Foglio di Giuliano Ferrara, ma la sostanza delle obiezioni ai test mosse dal professore di storia della matematica Giorgio Israel in un intervento su ilsussidiario.net è rimasta invariata: “I test sono utili esclusivamente al fine di valutare l’avvenuta acquisizione di livelli imprescindibili, naturalmente secondo i vari gradi scolastici, sul piano ortografico, grammaticale, sintattico, di calcolo, di conoscenza di basilari ordinamenti storici e geografici, ecc”.

Tuttavia i test Invalsi, a suo giudizio, “non si sono affatto limitati a tale profilo di base ma, almeno per una parte consistente, hanno debordato verso l’obbiettivo assai più ambizioso di valutare le capacità logiche, matematiche (intuitive e deduttive) e di interpretazione dei testi”. Cosa che a suo avviso non può essere fatta tramite test, e che possono fare solo gli insegnanti (quelli preparati, naturalmente) in interazione con gli studenti.

Israel critica la pretesa delle prove di andare oltre l’accertamento delle conoscenze di base, e cita alcuni “paradossi”: diversi test di matematica “presentano gradi di difficoltà incongrui: alcuni test liceali sono quasi di pari livello di test proposti in quinta elementare”, e “basterebbe questo a ridicolizzare la pretesa di poter formulare dei test rispondenti a criteri oggettivi”. Ma “sul piano letterario il risultato è ancora peggiore: far credere a uno studente che l’interpretazione di un testo consenta risposte univoche, da questionario, è devastante e, radendo al suolo l’idea stessa dell’esegesi interpretativa, educa all’assenza di spirito critico e di riflessione, alla superficialità, alla tendenza alle risposte stereotipate e schematiche”. Senza contare che le recenti esperienze hanno messo in luce una dannosissima tendenza a introdurre nella scuola il “teaching to the test”. Al riguardo, Israel menziona le critiche che si fanno strada negli USA al sistema del testing e dell’accountability, in particolare da parte di un’autorità come Diane Ravitch.

Il problema, insomma, non sono i test, ma l’uso che se ne fa, la filosofia tecnocratica e fondamentalmente autoritaria che sembra ispirare alcuni dei loro sostenitori, e soprattutto la delegittimazione degli insegnanti, deprivati del loro ruolo di protagonisti del processo educativo: “Trovo francamente insopportabile l’idea che il processo educativo venga tolto dalle mani degli insegnanti per metterle in quelle degli ‘esperti’ scolastici – la cui competenza specifica è tutta da dimostrare, e che spesso non producono altro che verbosa tuttologia – sostenuti da un apparato finanziario che s’impone con la brutalità del potere economico”. Nell’articolo si cita il caso della Fondazione di Bill Gates, che sta investendo somme ingenti “per imporre una ristrutturazione della scuola americana che ne abbassi il livello verso soglie minime, imponendo un uso massiccio dei test per valutare studenti e professori”, ma qualche mese fa nel mirino di Israel era finita Confindustria con motivazioni non troppo diverse.