La crisi dei tecnici viene da lontano

Il rilancio dell’area tecnico-professionale sembra suscitare complessivamente cauti consensi e forti aspettative per la valorizzazione di un settore che negli anni passati ha avuto anche un ruolo non secondario nello sviluppo economico e industriale del Paese.
Il presidente del Consiglio Prodi, che, come è noto, punta da tempo a rilanciare decisamente l’istruzione tecnica e scientifica, ha certamente appoggiato la proposta del ministro Fioroni del 25 gennaio per il decreto legge e il disegno di legge sull’area tecnica-professionale.
Per un rilancio del settore occorre anche andare in profondità e risalire alle ragioni che hanno messo in crisi l’istruzione tecnica, non accontentandosi della logora diagnosi elettoralistica che tenta di accreditare l’origine del decremento di iscritti alla sola riforma Moratti.

Ancora pochi giorni fa, ad esempio, il sottosegretario Pascarella, rispondendo il 1° febbraio scorso all’interrogazione dell’on. De Simone su una situazione critica di un istituto tecnico campano, ha premesso che “…il fenomeno della consistente diminuzione delle iscrizioni e degli organici negli istituti tecnici e negli istituti professionali è conseguenza della notevole incertezza sulle finalità e funzioni dei medesimi istituti ingenerata dalla legge delega n. 53 del 2003 e dal decreto legislativo n. 226 del 17 ottobre 2005 sul secondo ciclo”.
Si può non condividere l’impostazione morattiana di riforma del secondo ciclo, ma questo poco ha a che vedere con l’emorragia costante del settore, iniziata molto prima.

La crisi dei tecnici è strutturale, ha radici ben più lontane, e le sue cause sono, quindi da cercare altrove. Nel 1995-96 gli iscritti ai tecnici rappresentavano il 42,4% dell’intera popolazione scolastica degli istituti superiori e già tendevano al decremento; tre anni dopo erano scesi al 39,7%; nel 2002-03, prima che fossero noti i progetti riformistici della Moratti, erano scesi al 37,6%.
Un’emorragia che è continuata, costante, anche negli anni successivi, fino ad arrivare nell’anno in corso al 34,3%.