La Corte d’appello dispone il pagamento dei mesi estivi

Non un semplice giudice del lavoro, bensì una Corte d’appello, quella di Brescia, ha riconosciuto a un’insegnante il diritto al pagamento degli stipendi estivi per gli ultimi 5 anni (il pregresso non è stato recuperato per avvenuta prescrizione).

L’insegnante aveva richiesto che il suo contratto di lavoro a tempo determinato fino al termine delle attività didattiche (30 giugno) fosse riconosciuto e convertito in contratto a tempo indeterminato.

La Corte d’appello non ha riconosciuto il diritto di convertire il contratto a tempo indeterminato, ma ha però dato ragione alla ricorrente sulla questione del risarcimento del danno, che è stato quantificato in 13mila euro complessivi.

Nel dispositivo della sentenza emessa nel luglio scorso viene affermato, tra l’altro che “andrà individuato calcolando la differenza tra quanto effettivamente percepito dai lavoratori e quanto gli stessi avrebbero percepito qualora fossero stati subito inquadrati quali lavoratori a tempo indeterminato, ossia tenendo conto della retribuzione per i mesi estivi che non è stata corrisposta, con gli interessi di legge”.

La sentenza spiega che qualora si trattasse di una “sopravvenienza imprevista” non ricorrerebbero le condizioni per la sanzione a carico dell’amministrazione. Ma dal momento che da anni il Miur assume decine di migliaia di persone con contratti fino al termine dell’anno scolastico, che poi rinnova all’inizio dell’anno successivo (e molto spesso sugli stessi posti), secondo la Corte “è pacifico che il ricorso alla contrattazione a tempo determinato e reiterata è il risultato di una scelta programmatica dell’amministrazione”.

Grazie a un pronunciamento della Corte europea che mira a scoraggiare la pratica invalsa dei contratti a termine ripetuti in successione – ha spiegato il legale dell’insegnante ricorrente – è stato accolto il principio della sanzione quale deterrente. Il Ministero se non regolarizza i precari appare quantomeno condannato a parificarli dal punto di vista retributivo”.

Una rondine non fa primavera, ma se l’applicazione della sentenza di Brescia fosse chiesta in modo generalizzato da tutti i supplenti temporanei, cosa succederebbe?