Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, intervenendo sabato all’82° congresso della Società ‘Dante Alighieri’ a Milano, ha indicato la lingua italiana come possibile “strumento di pace, di amicizia e collaborazione”.
Per questo, ha aggiunto, “dovremmo essere più impegnati” a diffonderla tra i migranti per prevenire ghetti “anzitutto linguistici e culturali”.
Mattarella ha ricordato che l’italiano è la quarta lingua più studiata al mondo, ma ha anche messo in evidenza che, rispetto ad altri Paesi impegnati a so sostenere la diffusione della loro lingua, l’Italia investe poco per la diffusione dell’italiano.
Bisogna impegnarsi a diffonderla sia tra gli immigrati per abbattere “i muri della diffidenza e della paura”, sia anche nei Paesi vicini, nei Balcani e nel Mediterraneo.
La lingua italiana, dunque, come “veicolo di integrazione”, per affrontare le sfide del futuro.
Ieri a Napoli, in occasione dell’inaugurazione dell’anno scolastico alla presenza del Capo dello Stato, il ministro Stefania Giannini ha completato in un certo modo il discorso del Presidente sulla lingua italiana e gli stranieri, dichiarando: “Quella che vogliamo è una scuola desiderosa e capace di offrire accoglienza a tutti, e di far sì che l’italiano sia presto lingua madre e non matrigna per i 750 mila bambini che non lo parlano e non lo sentono parlare in casa propria”.
Più che un’esortazione, il potenziamento e la diffusione dell’insegnamento dell’italiano, affinché non siano soltanto parole, devono diventare un impegno concreto dell’Amministrazione scolastica, attuato con nuove risorse finanziarie e umane.
Quanto poi ai 750 mila alunni stranieri che non parlano l’italiano, il ministro si consoli, perché più della metà è di seconda generazione, nati in Italia. In molti casi – è vero quanto detto dal ministro – in casa loro non si parla italiano.
L’investimento linguistico è, quindi, soprattutto, sugli adulti stranieri, come ha indicato anche il Capo dello Stato.
I CPIA, i nuovi Centri per l’Istruzione degli Adulti, adeguatamente potenziati, potrebbero rispondere, ancor più di quanto facciano oggi, alla diffusione dell’italiano tra gli stranieri.
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