Mia figlia perseguitata dal suo prof, la lettera del papà. Fedeli: ‘Avvio procedimento disciplinare per il docente’

In sei mesi ha ricevuto più di 3mila telefonate e 600 messaggi. È stata pedinata e costretta poi a cambiare scuola, città e amici. La storia è quella di una tredicenne come tante perseguitata dal suo insegnante delle medie. Ora la ragazza ha 15 anni e si porta dentro tutti i traumi e gli strascichi di un incubo, mentre il suo persecutore insegna ancora nella scuola media frequentata, al tempo, anche da lei stessa. A lottare insieme alla ragazza per ricominciare a vivere è il suo papà che scrive, esasperato dalla situazione, una lettera pubblicata dal Corriere della Sera alla ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, che risponde tempestivamente alla domanda disperata del genitore: “Lo trova giusto?”.

Signor ministro Valeria Fedeli – scrive il papà della ragazza – le scrivo in forma anonima perché il mio unico scopo è continuare a tutelare mia figlia. Ma sento il bisogno di rivolgermi a lei perché ho perso fiducia nell’istituzione che prima di tutte deve accogliere e tutelare i nostri ragazzi: la scuola. Quella che lei rappresenta al suo massimo livello. Mia figlia è oggi una quindicenne distrutta, svuotata, insicura. E le racconto i motivi. Tutto è cominciato nell’aprile del 2015 quando un suo professore ha iniziato a molestarla e perseguitarla. L’ha isolata dai suoi amici. Ovviamente la ragazzina ha cominciato a non studiare, a dimenticare, lei, la più brava della classe. Non capivo il perché e me ne faccio una colpa”.

Poi, una notte, il genitore sente squillare il telefono della figlia. Sono le 3 del mattino e la ragazza è in bagno, così il papà decide di vedere chi la chiama a quell’ora. “Scopro che è lui, il professore. Chiedo spiegazioni e a quel punto mia figlia crolla, tra le lacrime, mi racconta che sono mesi di persecuzione, che l’abbraccia e la bacia davanti a tutti. E mi dice la cosa peggiore di tutte: non te l’ho detto perché ho solo te, non ho più la mamma, se perdo anche te mi metteranno in orfanotrofio. Ho pensato di morire, in quel momento”.

È a quel punto che inizia la loro battaglia. Vanno dai Carabinieri e denunciano l’insegnante. Il pm chiede gli arresti domiciliari, il gip dispone solo il divieto di avvicinamento. “Ancor più grave è il fatto che quell’uomo continua a insegnare nella stessa scuola. Neanche una denuncia, le testimonianze, le evidenze hanno potuto qualcosa. Sta lì, continua a insegnare ai nostri figli. Che razza di legge consente una cosa del genere? Di chi possiamo ancora fidarci? Quando l’ho affrontato per chiedergli spiegazione mi ha risposto: ‘Non ho figli, per me è come se lo fosse’. I figli non si perseguitano. Ho la colpa di essere solo in questa storia. Mia figlia è sola in questa storia: non ha la mamma, non ha amici. Ha dovuto cambiare liceo e città. Lei, lui invece no. Lo trova giusto?”.

La ministra Fedeli non tarda a rispondere. La sera del primo febbraio telefona al papà della ragazza, poi annuncia provvedimenti: “Abbiamo già avviato un’ispezione per verificare se negli atti della scuola frequentata da sua figlia ci fosse traccia di quanto è emerso in questi giorni e l’Ufficio scolastico regionale ha chiesto alla Procura l’acquisizione del provvedimento nei confronti dell’insegnante che Lei ha denunciato. Intanto posso rassicurarla su un fatto: all’esito di questi doverosi approfondimenti sarà avviato un procedimento disciplinare per il docente. Andremo fino in fondo perché è giusto, perché è doveroso, perché vogliamo vederci chiaro e perché vogliamo che la scuola sia il fondamento di una società sana, rispettosa dell’altro, che salvaguardi gli e studenti ed escluda ogni forma di violenza e di sopraffazione”.