Le politiche educative per l’Infanzia e il PNRR

Il d.leg.vo 65/2017 ha colmato una grossa lacuna nel nostro sistema formativo con la costituzione in modo organico dei servizi per l’infanzia. E’ stata finalmente sancita a livello nazionale la centralità del bambino nel processo educativo, dichiarano le linee pedagogiche ministeriali per lo zerosei, superando disuguaglianze e barriere fisiche, territoriali, economiche, sociali e culturali. In alcune aree del Paese infatti i diritti di tali soggetti non sono garantiti; ora ci si aspettano scelte logistiche e amministrative e coerenti prassi didattiche e organizzative per tutelare la prima forma di cittadinanza attiva. Occorre pertanto in primis dispiegare una rete di servizi educativi per tutti, favorendone l’accesso attraverso una loro diffusione capillare su tutto il territorio, facendoli evolvere dalla natura assistenziale a quella educativa e proiettandoli verso il primo ciclo di istruzione.

Essa trova nell’istituzione dei “poli per l’infanzia” la possibilità di accogliere in un unico plesso o in edifici vicini attività di diversa tipologia. Si tratta di un disegno istituzionale complesso che esige coordinamento e integrazione tra stato, regioni, enti locali, soggetti pubblici e privati. L’UE è intervenuta in modo significativo su tale segmento formativo, richiedendone una copertura del 33% a tempo pieno nel 75% dei comuni. In vista del 2030 in tutto il continente dovranno essere presenti il 96% delle attività prescolastiche. Saranno anche previste iniziative dette complementari, come spazi gioco, centri per bambini e famiglie, progetti educativi in contesti domiciliari. Non si tratta più di servizi a domanda individuale, ma generalizzati, rientranti nel diritto allo studio. Per questo occorre realizzare anche nuovi edifici o riattivare quelli esistenti in un rinnovato rapporto tra architettura e pedagogia; il piano previsto per tale settore all’interno del PNRR sembrava l’occasione finanziaria opportuna per mettersi in pari, sia all’interno del sistema, sia tra i paesi dell’UE. Sembrava fosse partito tutto in lancia, ma a giudicare dall’osservazione della corte dei conti (ordinanza n.20/2022) si deve ritenere che le carenze che da decenni accompagnano gli interventi della pubblica amministrazione non sono state affatto colmate, sia per quanto riguarda l’efficienza progettuale della stessa, sia per le diverse visioni culturali che a questo riguardo ancora dividono il nostro paese.

I rapporti tra ministero centrale e comuni infatti non sono improntati alla massima efficienza e senza il coinvolgimento delle regioni, che hanno responsabilità nel definire standard strutturali e organizzativi del servizio, si sono sfilacciati i legami che dovevano far corrispondere i progetti con i finanziamenti. Tra il centro e le periferie la tipologia di risorse economiche hanno assunto aspetti conflittuali tra i diversi enti e tra questi e l’utenza, facendo registrare comportamenti disomogenei nei territori, in modo da far fatica a rispettare le norme del PNRR.

Questa criticità rimarcata dalla magistratura contabile a carico di tutti gli enti interessati, non solo ha finito per avere più soldi che progetti, ma è la prova dell’impasse che si viene a creare quando si vorranno veramente decentrare le competenze statali, senza che i diversi livelli amministrativi abbiano al loro interno tecnici adeguatamente preparati. I tentativi di sostenere soprattutto i comuni più piccoli attraverso accordi con associazioni o agenzie specializzate non hanno spostato più di tanto la situazione, fatta eccezione per quelle regioni che detengono una certa esperienza nelle attività per la prima infanzia e che fin dall’inizio del procedimento avevano messo a disposizione dei territori, magari con la mediazione delle province, specialisti in diversi settori.

Il PNRR avrebbe dovuto essere una palestra per esercitare le capacità di progettazione e di gestione autonome, che devono restare anche quando i processi europei saranno terminati, e invece è diventato l’ennesimo vincolo che si accompagna ad altri finanziamenti europei non spesi. oltre alle difficoltà di gestione dei bilanci, ad esempio, tra gli importi autorizzati ed il cofinanziamento, proveniente dallo stato o dagli enti locali, altre sono state rilevate nella incapacità di impiegare adeguati strumenti urbanistici, mettendo in evidenza come gli edifici educativi sono sempre stati considerati residuali rispetto all’organizzazione urbana (assenza di natura pubblica della proprietà dell’area designata, la non conformità della destinazione d’uso, ecc.). Se questo vale per i nidi, a maggior ragione dovrebbero riguardare i poli per l’infanzia che possono costituire un elemento di riequilibrio territoriale.

Dopo quasi otto mesi dal decreto di ammissione, nessuno dei 21 comuni monitorati dalla corte dei conti ha ancora aggiudicato i lavori. Il PNRR ha stanziato 4,6 miliardi di euro, che dovrebbero permettere di costruire 1.857 asili nido e 333 scuole dell’infanzia, per 264.480 nuovi posti entro la fine del 2025, ma quei comuni che già possono vantare una certa copertura del servizio, magari supportati da leggi regionali che li hanno abituati ad una certa efficienza, sia nella gestione del territorio, sia nell’adeguamento della conoscenza specifica del servizio, hanno accresciuto le loro dotazioni, viceversa coloro che ne avevano più bisogno sono rimasti ancora una volta indietro. l’occasione del PNRR non è stata colta a pieno, sarà il caso per il futuro di pensare ai livelli essenziali delle prestazioni per questi servizi, se si vuol davvero fare in modo che venga mantenuta un’adeguata presenza di fronte ad una indispensabile governance locale indicata dallo stesso decreto 65.

Le criticità rilevate sono perlopiù riferite agli aspetti organizzativi, ma sarebbe da verificare se si tratti di incompetenza o di mancanza di politica o non piuttosto di condizioni del territorio che pongono questo tipo di servizi in fondo alle priorità di un’amministrazione. Se i genitori non lavorano, soprattutto le mamme, possono curare i propri figli, o se hanno orari flessibili, magari notturni, non possono sottostare a strutture con tempi rigidi, così come si vanno configurando nella predetta organizzazione statale. Ma il problema più importante è di natura culturale e cioè che questi servizi siano perlopiù legati alla conciliazione dei tempi con gli impegni della famiglia, mentre è il valore pedagogico che va considerato nel processo di crescita dei bambini e del positivo riflesso di questi interventi nei confronti dei momenti educativi successivi.

Leggi l’inserto l’articolo integrale nel numero 633 di Tuttoscuola

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