In arrivo i “Social impact bond”?

In un interessante articolo pubblicato sabato 20 settembre, l’inviato a New York del Corriere della Sera Massimo Gaggi, attento osservatore delle dinamiche della società americana anche nei suoi aspetti di innovazione educativa, dà conto di un fenomeno che potrebbe a breve interessare anche la scuola del nostro Paese, visto che se ne accenna anche nel documento governativo ‘La Buona Scuola’ (pag. 126): la crescente diffusione dei “Social Impact Bond”, o obbligazioni a impatto sociale, già utilizzati nel Regno Unito e in alcuni Stati degli USA, come possibile fonte di finanziamento per interventi sociali che nel caso italiano potrebbero essere finalizzati a prevenire e combattere prima di tutto il fenomeno della dispersione scolastica.

Negli USA e nel Regno Unito i progetti, finanziati da banche d’investimento come la Goldman Sachs e dai governi locali, sono stati rivolti in prevalenza al recupero di giovani finiti in carcere o alla sistemazione di persone prive di casa, ma in alcuni casi, come quello dello Utah, hanno riguardato il miglioramento della capacità di apprendimento di bambini di tre e quattro anni.

In sostanza, riferisce Gaggi, “lo Stato, anziché intervenire direttamente e pagare con soldi pubblici le attività sociali che vengono svolte, si affida a un finanziatore privato che imposta il progetto, ne valuta la praticabilità economica e ne affida l’esecuzione a una struttura specializzata nella produzione di servizi sociali”.

Nel modello americano un contratto indica gli obiettivi da raggiungere (per esempio una riduzione del 10 per cento del numero dei ragazzi che ritornano in galera; da noi potrebbe essere l’individuazione precoce di casi di DSA e BES, o il dimezzamento della dispersione in una certa scuola), i tempi entro cui raggiungerli e l’autorità indipendente che dovrà giudicare come sono andate le cose. “Se i risultati saranno stati ottenuti, i finanziatori verranno rimborsati e otterranno anche un certo margine di profitto. Altrimenti si accolleranno la perdita”.

Difficile prevedere se in Italia una iniziativa del genere potrà avere successo. Alcune premesse e precondizioni favorevoli comunque esistono, a partire dalla vasta diffusione del volontariato e delle cooperative sociali. Ma dovranno essere mobilitate, e incentivate fiscalmente, le iniziative di finanziamento, anche coinvolgendo la popolazione a tutti i livelli (Crowdfunding) perché, come recita il motto riportato all’inizio del documento ‘La Buona Scuola’, “Per fare la Buona Scuola non basta solo un Governo. Ci vuole un Paese intero”. Negli USA lo stanno facendo. Noi come minimo ci dobbiamo provare.