Imparare è un obbligo o una scelta?

Ancora una volta la prof scrittrice torinese Paola Mastrocola fa discutere. Già il titolo del suo ultimo libro contiene il nucleo essenziale della sua provocazione: Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare (edizioni Guanda).

La proposta, ridotta all’essenziale, è quella di limitare l’obbligo scolastico alla sola frequenza dei primi otto anni. Magari migliorandone la qualità didattica, concede Mastrocola, che insegnando in una scuola secondaria superiore (un liceo) denuncia il progressivo peggioramento della preparazione media dei suoi studenti.

Dopo la terza media, insomma, liberi tutti. Di studiare, per chi lo vuole fare davvero. Oppure anche di non studiare, per chi preferisce prepararsi al lavoro attraverso itinerari formativi diversi da quello scolastico. L’importante è che alla base della scelta ci sia una forte e consapevole motivazione: verso lo studio, sapendo che richiede applicazione e fatica, o verso un’alternativa ad esso, vissuta però in positivo, non come l’esito di un fallimento scolastico.

Riemerge così il dibattito, che forse non ebbe a suo tempo adeguato sviluppo, sul ‘diritto-dovere’ di istruzione e formazione dopo la licenza media: la formula escogitata dalla riforma Moratti (2003) per evidenziare l’aspetto volontario, soggettivo, delle scelte, in contrapposizione con il carattere imposto, eterodiretto, dell’obbligo di istruzione sostenuto dall’opposizione.

La mancata realizzazione di un ramificato ‘sistema di istruzione e formazione’ in termini di effettiva pari dignità con quello costituito dai licei (un cui aspetto è stato la licealizzazione degli istituti tecnici) ha certamente limitato la libertà di scelta degli studenti contribuendo a inflazionare il canale scolastico, nel quale sono confluiti anche giovani poco motivati verso studi impegnativi e faticosi.