
Il ruolo dell’educazione per il rilancio sociale ed economico dell’Italia

di Roberto Franchini*
Durante le fasi alterne della pandemia, mentre tra vaccini e misure preventive abbiamo imparato a convivere con questa drammatica contingenza, il Governo, le parti sociali e tutti gli stakeholder stanno intensamente riflettendo sulle iniziative più opportune per il rilancio del paese, tra PNRR, Legge Finanziaria e incentivi di varia natura. La questione educativa è davvero al centro della pianificazione politica? I vari attori sono realmente consapevoli che il cosiddetto “capitale umano” è più importante della mera leva finanziaria e persino degli investimenti tecnologici?
Per rispondere a questa domanda, occorre dare uno sguardo agli indicatori reali. Per fare questo, una possibilità è quella di esaminare in modo comparato l’attuazione dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile contenuti nell’Agenda 2030 (SDGs Sustainable Development Goals) sottoscritta dai 193 paesi delle Nazioni Unite. Tra questi, il quarto riguarda l’istruzione di qualità: i rapporti evidenziano il grave ritardo del nostro paese in numerosi dei benchmark in esso contenuti.
A fronte di questo, la Commissione Italiana per l’UNESCO ha affidato ad un gruppo di esperti la redazione di un documento di proposte[1]. Al di là delle dichiarazioni di carattere generale, esso rappresenta un’ampia e ambiziosa esigenza di riforma degli ordinamenti, a fronte di alcune anomalie che vengono puntualmente registrate.
Prima tra tutte, la necessità di ripensare la durata dei cicli scolastici, e questo per due motivi: il primo, perché l’età di uscita dalla scuola secondaria (19 anni) è superiore a quella della maggior parte dei paesi europei; il secondo, più importante, perché l’obbligo di istruzione (16 anni di età) non si conclude con alcun titolo in uscita, contribuendo al tasso elevato di dispersione scolastica, che nel nostro paese supera il 13,5 %, ponendo l’Italia all’ultimo posto tra i paesi europei. Per affrontare la piaga sociale della dispersione, con tutte le conseguenze economiche e personali che essa provoca, il documento insiste sulla necessità di un’Istruzione e Formazione Professionale di qualità, che consenta di conseguire una qualifica, entro un sistema di raccordi organici fra Regioni, Scuole statali e Istituti Tecnici Superiori.
L’istruzione secondaria, di durata quadriennale, dovrebbe articolarsi in questo modo:
- un primo biennio, al termine del quale certificare le competenze acquisite durante tutto il percorso d’obbligo;
- un secondo biennio che consenta il completamento con il diploma (Licei o Scuole Tecniche-Professionali), o un terzo anno atto a ottenere una qualifica professionale riconosciuta a livello europeo, a cui poter far seguire un quarto anno ed eventualmente un percorso di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS), o un periodo di apprendistato al termine del quale sia ugualmente possibile certificare le competenze raggiunte.
Per il rilancio sociale ed economico del paese serve poi una formazione superiore d’eccellenza, costruita sin dal suo concepimento in forte raccordo con il mondo delle imprese. Essa deve superare il suo quasi esclusivo radicamento sul sistema universitario, per riconfigurassi come un organismo a due polmoni:
- l’Università, con i suoi percorsi di laurea a struttura 3+2, che devono con maggiore intraprendenza superare il rischio di rappresentare una sbrigativa replica o un semplice adattamento di quanto fatto nei percorsi di studio tradizionali (corsi di laurea del vecchio ordinamento), predisponendo curricula da una parte ampi e multidisciplinari, dall’altra utili a facilitare la transizione verso il mondo del lavoro e la formazione continua;
- l’Istruzione Tecnica Superiore (ITS), che rappresenta già oggi una solida alternativa al sistema universitario, una sorta di laurea professionale particolarmente apprezzata dalle imprese, che, entrando a far parte delle Fondazioni (o Accademie), sono una componente strutturale della loro genesi (insieme a Università, Centri di Formazione e Scuole Statali). Potenzialmente rilanciato e arricchito dal PNRR, il sistema degli ITS dovrà diventare un asse strategico di rilancio del sistema economico italiano.
Stimolati dalla sana concorrenza degli ITS (di cui per altro fanno parte), gli Atenei, lungi dal chiudersi in una vetusta concezione di Accademia lontana dalla vita, dovranno curare il rapporto con le imprese, in relazione non soltanto ai percorsi strutturali (3+2), ma anche all’apprendistato di alta formazione e ricerca, al dottorato industriale e ai percorsi professionalizzanti. Inoltre, occorrerà riformare i sistemi di accesso ai percorsi universitari, passando da modalità selettive a modalità orientative, che contribuiscano a diminuire il fenomeno dell’abbandono.
Infine, il rilancio sociale ed economico del nostro paese non passa soltanto attraverso la riforma dei percorsi di istruzione, ma anche dal rafforzamento di organici raccordi tra imprese e il mondo della Scuola (e dell’Università). Tra formazione e lavoro deve crearsi un circolo virtuoso, che aiuti a superare la staticità di profili preconfezionati, vuoi perché la scuola non ripensa la propria offerta, vuoi perché l’impresa tende a ragionare in termini di un’immediata e diretta utilizzazione in azienda. La scuola, dunque, deve stimolare l’impresa a vedere se stessa in termini strategici; l’impresa deve aiutare la scuola a curvare la propria offerta non sulla base delle routine (o delle esigenze chi insegna), ma sulla base dei bisogni di chi apprende, e del contesto in cui andrà ad operare.
In questo orizzonte, assume significato una raccomandazione di ampia portata, che riguarda la competenza delle competenze, ovvero l’imparare ad imparare. E’ oramai chiaro che ci muoviamo in un sistema sociale dove una competenza specifica potrebbe diventare obsoleta nel giro di pochi anni, ovvero più volte durante il ciclo lavorativo di un singolo individuo. E’ necessaria dunque un’ampia formazione umana, che consenta a tutti di possedere quel corredo interiore che abilita alla flessibilità, al cambiamento e alla curiosità verso il nuovo. Si tratta di un’istruzione che “non si consuma”, ma apre ad un atteggiamento costante di auto-formazione, non soffermandosi troppo su singoli contenuti (conoscenze e abilità), ma dispiegando e facilitando l’attitudine umana alla crescita e alla continua riconquista di sé nel proprio contesto sfidante.
*Docente università cattolica del Sacro Cuore di Milano e Brescia
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