Il ritiro di Berlusconi/2. Dall’utopia ai tagli

Per illustrare le contraddizioni e la sostanziale fragilità, soprattutto dal punto di vista delle strategie di lungo termine, della politica scolastica dei governi guidati da Silvio Berlusconi – presidente del Consiglio per circa metà dei 18 anni trascorsi dal 1994 a oggi – basta mettere a confronto i programmi elettorali di Forza Italia 2001 e Pdl 2008 con le politiche poi realizzate dai governi presieduti dal Cavaliere, formatisi in entrambi i casi a seguito di consistenti successi nelle consultazioni politiche svoltesi in quegli anni.

Nel 2001 la campagna elettorale ‘scolastica’ di Silvio Berlusconi fu dominata dallo slogan delle ‘tre i’ (internet, inglese, impresa), ma gli intenti potenzialmente rivoluzionari e vagamente utopici di quelle parole d’ordine furono poi smentiti da una gestione nella sostanza conservatrice, incapace di andare oltre la gestione dell’esistente. La riforma Moratti, dopo aver ripristinato la scuola media soppressa dalla riforma Berlinguer, ha di fatto mantenuto in vita gli istituti tecnici mascherandoli da licei e ha fallito clamorosamente nella costruzione del secondo canale ‘di pari dignità’, quello professionale.

Nel 2008 la parola d’ordine è stata quella del ‘merito’, un’altra idea-forza lanciata in campagna elettorale ma poi vanificata dalla ondata di tagli targati Tremonti-Gelmini che hanno colpito il già non florido bilancio del Miur rendendo velleitari i pochi e deboli tentativi di dare un seguito concreto ai principi proclamati prima delle elezioni e, almeno per quanto riguarda Gelmini, anche dopo.

Come si vede in entrambi i casi i programmi elettorali sono stati contraddetti dalle politiche poi sviluppate in concreto dai governi, a dimostrazione – e la politica scolastica ne costituisce un vero e proprio studio di caso – della assai migliore attitudine di Silvio Berlusconi a vincere le elezioni piuttosto che a governare.