Il federalismo scolastico, questo sconosciuto

Che fine ha fatto il federalismo scolastico? Se lo è chiesto Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Giovanni Agnelli, in un articolo pubblicato ieri da “Sole24ore”.

Nelle sedi politiche – osserva Gavosto – non se ne parla da molti mesi e anche in precedenza lo si era fatto in modo discontinuo e farraginoso. L’opinione pubblica e lo stesso mondo della scuola non sanno a che punto sia la discussione. Addirittura, molti ignorano che esista una discussione sul federalismo nella scuola e che questo sia un capitolo della più ampia partita relativa al trasferimento di fondamentali funzioni legislative e di governo dal centro alla periferia”.

Dopo aver ricordato che il nuovo Titolo V della Costituzione, all’articolo 117, attribuisce la potestà legislativa in materia d’istruzione alle Regioni, con lo Stato che mantiene soltanto la determinazione delle cornici entro le quali deve muoversi la legislazione scolastica regionale nonché quella dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep) validi per tutto il Paese, Gavosto sottolinea che “L’occasione per riparlarne poteva essere quella del decreto sulla fiscalità regionale in attuazione della legge Calderoni; il decreto dovrebbe definire, fra l’altro, i fabbisogni e i costi standard sulla cui base lo Stato fornirà a ciascuna Regione le risorse per garantire i Lep dell’istruzione: tanto il buon senso quanto la stessa legge 42/2009 suggerivano di determinare in primo luogo che cosa fossero questi Lep. Ciò che per la scuola – a differenza della sanità – non era stato ancora fatto.

Invece, ancora una volta nulla o poco più. Solo un breve accenno all’articolo 9, che rimanda a un nuovo decreto sine die la ricognizione dei Lep già esistenti in normativa (che di fatto non ci sono), in attesa della quale si rinvia a un’intesa da realizzarsi in sede di conferenza unificata Stato-Regioni (che negli ultimi cinque anni non è mai stata in grado di raggiungerla).

Peccato, osserva il direttore della Fondazione, “perché il federalismo scolastico sarebbe assai utile per affrontare alcuni mali del nostro sistema d’istruzione. In particolare, oltre a razionalizzare la spesa pubblica in modo più “fine” di una politica di tagli generalizzati dal centro, potrebbe servire a ridurre i profondi divari territoriali che oggi permangono nella qualità degli apprendimenti degli studenti. Responsabilizzando le Regioni in un percorso di convergenza verso obiettivi condivisi, la scommessa sarebbe di riuscire là dove il governo centrale della scuola ha finora sempre fallito”.

Ma davvero il federalismo scolastico potrebbe ovviare ai mali cronici della nostra scuola?

Ovviamente – conclude Gavosto – non si può sottovalutare il rischio che un federalismo mal governato lasci le cose come stanno o addirittura porti al risultato opposto, accentuando i divari fra Nord e Sud, con alcune delle Regioni più ricche che migliorano la qualità, tutto sommato già buona, delle loro scuole e le altre che continuano ad arrancare, perdendo ulteriore terreno.