Il coraggio di ripensare la scuola: dalla scolarizzazione precoce al tempo lungo. Le proposte di Treellle

Come annunciato da Tuttoscuola nell’ultima newsletter si è aperto questa mattina alle 9.00 a Roma, ospitato nell’aula magna dell’università LUISS Guido Carli, il convegno di presentazione del numero 15 dei ‘Quaderni’ di Treellle, intitolato “Il coraggio di ripensare la scuola”. Ne diamo conto con questa notizia, che aggiorneremo nel corso della giornata.

Attilio Oliva, presidente di Treellle, e Antonino Petrolino, chairman del Forum di Treellle, hanno illustrato in sintesi i principali contenuti del Quaderno – un ponderoso volume di quasi 200 pagine – commentando una serie di slides.  

Ampia, come sempre nei lavori di questa Associazione, l’analisi della situazione in cui si trova la scuola italiana. Per quanto riguarda la preparazione al lavoro, il 20% dei giovani non ha il diploma della scuola secondaria superiore: il doppio che in Europa; l’Italia ha 20% di NEET (giovani che non studiano, non lavorano, non cercano lavoro), anche qui il doppio della UE, come la percentuale dei giovani disoccupati (38%).

Dal punto di vista della preparazione alla vita da cittadini, l’Italia ha il 14% di abbandoni precoci, il doppio dell’Europa; un giovane su 2 è attore o vittima di azioni di bullismo; 2 giovani su 3 non hanno trattato a scuola temi di educazione civica e 3 su 4 non conoscono la nostra Costituzione

Dal punto di vista delle conoscenze e competenze in literacy e numeracy (indagine OCSE-PISA sui 15enni) l’Italia risulta sotto la media degli 80 paesi considerati: “41 o 42 paesi sono davanti al nostro”.

Quanto alle “competenze funzionali” degli adulti (16-65 anni) per l’indagine OCSE–PIAAC  il livello di “analfabetismo funzionale” in Italia è del 30% della popolazione, contro il 15 % della UE,  mentre il livello di “competenze adeguate o elevate” è solo del 30% contro il 65% della UE. Ci sono peraltro “due Italie”, una vicina al Nord Europa e l’altra lontanissima.

Come rimediare a questa situazione drammatica?

In primo luogo, ha detto Petrolino, puntando sul successo formativo di tutti gli studenti, recuperando quel 20% che tuttora si perde. Si può fare solo differenziando l’offerta formativa attraverso una radicale personalizzazione che consenta anche la crescita dell’autostima.

Per compensare gli squilibri di educabilità derivanti dal contesto socioeconomico la proposta di Treellle è la scolarizzazione precoce e a tempo pieno: tutti a scuola obbligatoriamente dai 3 ai 14 anni, fino alla fine della scuola media. E per aumentare il tasso di successo nel passaggio alla secondaria superiore si deve prevedere, già nella scuola media, un’attività di orientamento che sfoci in una indicazione, riguardante gli studi successivi, obbligatoria per le famiglie.

Altra proposta è quella del “tempo lungo” (non obbligatorio) per gli studenti della scuola secondaria superiore: 30 ore per la didattica e scuole aperte nel pomeriggio per attività formative liberamente scelte dagli studenti, compreso sport, volontariato e service learning.

Determinante, ha poi detto Oliva concludendo la presentazione delle proposte, è la qualità degli insegnanti: meglio averne di meno ma formati meglio e pagati meglio. Per stare nella media europea all’Italia ne basterebbero 120.000 in meno. Che dovrebbero però essere formati, in futuro, in appositi corsi di laurea finalizzati specificamente all’insegnamento.

Gli insegnanti meritevoli (il 30%), andrebbero inoltre premiati, ogni 3 anni, almeno con una mensilità aggiuntiva. Per sceglierli il preside dovrebbe però essere affiancato da due insegnanti, membri del suo staff di 4-5 collaboratori (middle management). L’accesso alla carriera di preside dovrebbe essere riservato, inoltre, solo a chi ha fatto parte dello staff. Serve, infine, la valutazione esterna delle scuole da parte di un Invalsi rafforzato e di cui sia garantita l’assoluta indipendenza.

Prendono quindi la parola Claude Thélot, già Presidente della Commissione Governativa per il Dibattito Nazionale sull’avvenire della scuola in Francia, Luigi Berlinguer già Ministro dell’Istruzione, e Vincenzo Zani, segretario della Congregazione per l’Educazione Cattolica. 

Claude Thélot ha detto di concordare pienamente sulla principale proposta avanzata da Treellle, quella di riformare la struttura e la finalità della scuola in modo da garantire il successo formativo di tutti gli studenti, senza scarti: anche in Francia esiste un 20% di fallimenti scolastici che costituisce una vera e propria bomba sociale e politica. Se questo problema non sarà risolto ci saranno rischi non solo per la coesione sociale ma anche per la stessa democrazia. Per questo serve un impegno pubblico assunto al più alto livello istituzionale, che in Francia è quello del Presidente della Repubblica.

Nel merito delle proposte Thélot condivide l’idea di vincolare la scelta degli studi superiori al parere formulato dalla scuola media, ma raccomanda che l’orientamento anche negli anni precedenti all’ultimo sia realizzato con la massima attenzione e il massimo rigore scientifico. Quanto all’adesione delle scuole alle innovazioni, è opportuno che essa sia progressiva e volontaria, ma sempre esplicitamente supportata a livello istituzionale.

Della necessità di un “cambiamento radicale”, peraltro irrealizzabile nell’attuale contesto politico, ha parlato anche l’ex ministro Luigi Berlinguer, individuando in un consistente aumento degli stipendi degli insegnanti la misura simbolo di un nuovo e diverso atteggiamento del Paese nei confronti della scuola nazionale e di chi vi opera. Ha consigliato cautela, invece, sulla valutazione del “merito” dei docenti, ricordando l’esito infelice della sua iniziativa in materia. Con accenti fortemente autocritici Berlinguer ha riconosciuto che in materia di scuola la nostra Costituzione “è vecchia”, perché “dice e non dice”, affiancando al diritto universale all’istruzione (e al corrispondente dovere della Repubblica di “rimuovere gli ostacoli” che lo impediscono) il diritto delle famiglie (spesso “mammiste…”, ha detto) a scegliere il modello educativo per i propri figli. E perché si dovrebbe, oggi, preoccuparsi solo dei “capaci e meritevoli”, come dice la Costituzione? La vera rivoluzione, oggi, è quella della scuola generalizzata e del successo per tutti. Ma ciascuno a suo modo, ha aggiunto, “perché non siamo tutti uguali” per tempi e stili di apprendimento. Fermo restando l’impegno individuale nello studio (“studiare è un lavoro faticoso”…) i percorsi vanno resi flessibili a partire dalle attitudini e potenzialità dei singoli studenti. Nella parte conclusiva del suo intervento Berlinguer è tornato su un tema a lui caro, affrontato tra molte polemiche già durante la sua esperienza ministeriale: quello della responsabilità storica del neoidealismo novecentesco italiano (che convinse perfino “mezzo Gramsci”) nell’aver svalutato il valore educativo della pratica, dell’esperienza. Un fardello che ancora pesa sulla scuola italiana, e del quale occorre ormai liberarsi.

Dopo Berlinguer ha preso la parola il sottosegretario Salvatore Giuliano, in anticipo sul programma (avrebbe dovuto trarre le conclusioni) a causa di impegni ministeriali. Nel suo breve intervento Giuliano ha riconosciuto che tuttora la scuola è vista più come centro di spesa e opportunità di occupazione per il personale che come investimento. Pur nelle note difficoltà di bilancio il Miur ha tuttavia varato due “piccoli ma significativi provvedimenti”, l’assunzione di 2.000 maestri per rafforzare il tempo pieno al Sud e di 120 docenti da utilizzare sul territorio come esperti di nuove tecnologie a sostegno della diffusione delle “competenze trasversali”. Ha infine espresso la sua fiducia nella capacità degli insegnanti italiani di “lavorare dal basso”: più che riformare, ha detto, occorre trasformare. Il ‘come’ si insegna conta infatti spesso più del ‘che cosa’ si insegna. 

Vincenzo Zani, segretario della Congregazione per l’Educazione Cattolica, che opera in tutto il mondo coinvolgendo 60 milioni di studenti, ha fatto riferimento alle sue esperienze internazionali per condividere e ribadire alcune delle proposte di Treellle, che “non sono un libro dei sogni” ma indicazioni concrete. Per esempio quella di “pagare meglio gli insegnanti”, come anche Papa Francesco ha avuto modo di ricordare in più occasioni. Altro punto condiviso è quello di partire dalle persone, e quindi di costruire percorsi di apprendimento personalizzati dando ad esse fiducia (parola d’ordine: “I can”) e stimolando però sempre anche il dialogo, affinché si eviti la formazione, favorita dalla diffusione dei social networks, di echo chambers (bolle di filtraggio), gruppi chiusi nei quali non c’è dialogo ma condivisione unilaterale di convinzioni di parte. Quanto ai contenuti andrebbero privilegiate tematiche come quella ambientale e del cambiamento climatico. Anche qui Zani ha fatto riferimento al Papa e alla sua enciclica “Laudato si’”. Fondamentale, comunque, è la ricostruzione del patto educativo tra società, scuola e famiglie.

La tavola rotonda si apre con l’intervento di Ludovico Albert, presidente della Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo, che condivide la proposta di Treellle sul “tempo lungo”. Fa presente tuttavia che la materia andrebbe regolamentata perché se lasciata per intero all’autonomia delle singole scuole potrebbe dar luogo a un aumento, anziché alla riduzione, delle disuguaglianze. In particolare serve una forte integrazione tra le attività curricolari del mattino e quelle che si svolgono nel pomeriggio, come ha dimostrato l’esperienza realizzata dalla Fondazione a Torino, dove sono state impegnate per il pomeriggio 200 persone. Senza un’organica e sistematica collaborazione tra tutti i soggetti interessati il “tempo lungo” non produce effetti positivi.

Stefano Molina, dirigente di ricerca della Fondazione Agnelli, ha centrato il suo intervento sulle conseguenze del forte decremento demografico che ha portato negli ultimi anni alla diminuzione della popolazione scolastica, fenomeno destinato ad aumentare notevolmente soprattutto in alcune Regioni come la Sardegna. Il minor fabbisogno di personale ridurrebbe la spesa Miur di due miliardi di euro in pochi anni. Occorre evitare che tali risorse vengano automaticamente sottratte alla scuola: reinvestendole nella scuola si potrebbero realizzare obiettivi come quello del rafforzamento del tempo pieno/lungo e di una adeguata formazione iniziale e continua dei docenti, in previsione del gigantesco ricambio che nei prossimi anni porterà alla pensione circa un terzo degli attuali dipendenti in servizio.

Giovanni Vinciguerra, direttore di Tuttoscuola, concludendo gli interventi della Tavola rotonda, ha fatto il punto sulle principali questioni emerse durante il convegno: le dimensioni della crisi della nostra scuola, alla quale la rivista ha recentemente dedicato il dossier emblematicamente intitolato “La scuola colabrodo” (dal 1995 a oggi 3 milioni e mezzo di studenti hanno abbandonato la scuola statale); la crisi dell’alleanza educativa tra scuola e famiglia, come mostrano le sempre più numerose aggressioni ai docenti, documentate l’anno scorso da un apposito contatore online predisposto da Tuttoscuola; l’arretratezza del modello organizzativo, che impedisce di sfruttare razionalmente le enormi potenzialità del nostro sistema educativo. Un esempio è costituito dai sette miliardi di euro che vengono spesi tra Miur ed Enti locali per il sostegno senza che il servizio funzioni in modo efficace: molte scuole sono inagibili, i docenti cambiano spessissimo, un terzo di essi è precario, mancano i controlli (gli ispettori sono pochissimi). Per far fronte a questa situazione occorrerebbe un piano strategico per il rilancio della scuola pensato su un orizzonte di 15-20 anni e condiviso dalle principali forze politiche e sociali. Principale obiettivo il successo formativo di tutti gli studenti, da conseguire attraverso una drastica personalizzazione degli itinerari formativi individuali. Le risorse, come osservato anche da Molina, potrebbero derivare dal decremento demografico e anche dal riallineamento del rapporto docenti/alunni sugli standard europei. Da privilegiare comunque, da subito, alcuni assi strategici: la ricostituzione dell’alleanza educativa, la ridefinizione della dirigenza scolastica monocratica in termini di dirigenza distribuita, l’educazione delle emozioni, le soft skills, il Service Learning. Solo a queste condizioni l’investimento in educazione può innestare un circolo virtuoso, nell’interesse dell’intera società italiana.