Il bonus della discordia/2. Continuità versus discontinuità

Dietro le reciproche rigidità ci sono visioni di scuola diverse e anche logiche di carattere politico: il Governo vuole accentuare il carattere innovativo della Buona Scuola in materia di valorizzazione dei docenti, guardando forse più all’opinione pubblica che agli insegnanti e ai loro sindacati; i sindacati al contrario puntano sulla continuità in materia di contrattabilità di ogni aspetto economico-giuridico della professionalità docente, forti del loro pluridecennale ruolo di principali interlocutori dei governi pro tempore. Difendono quindi il ruolo dei Collegi e delle RSU, ambiti nei quali opera la gran parte dei loro rappresentanti.

La figura del dirigente scolastico, con le nuove funzioni attribuitele dalla legge 107 in materia di scelta e gratificazione economica dei docenti, assume in questo quadro un’importanza che è anche simbolica: la rottura o la continuità con il passato passa anche attraverso il maggiore o minore riconoscimento della sua effettiva autonomia valutativa in materia di assegnazione del bonus.

Secondo i quattro sindacati, che puntano sulla continuità, l’assegnazione del bonus “è un atto amministrativo e come tale non può configurarsi come esercizio di un arbitrario potere discrezionale, ma come decisione assunta sulla base di una ‘motivata valutazione’, attenta ai canoni della trasparenza, dell’imparzialità, dell’equità e dell’antidiscriminazione, in esito a un percorso dal quale, trattandosi di retribuzione accessoria, non possono essere esclusi o elusi i dovuti passaggi di natura contrattuale”.

Secondo l’ANP, che in questo si fa alfiere di una interpretazione ‘discontinuista’ della Buona Scuola, la legge non prevede la contrattazione del bonus in quanto questo “premia la qualità, non la quantità della prestazione” (a differenza del FIS), mentre i sindacati con le loro richieste, pur difendendo a parole l’autonomia delle scuole, pretendono atti e interventi dell’amministrazione intesi a regolamentare minuziosamente i comportamenti degli organi collegiali, dal Collegio dei docenti al Consiglio di istituto”. E tendono soprattutto a limitare drasticamente l’autonomia valutativa dei dirigenti scolastici.