Il bilancio scolastico del governo tecnico

Con l’esclusione di Mario Monti e, indirettamente, di Andrea Riccardi, nessun ministro del governo tecnico insediatosi nel novembre 2011 ha scelto di impegnarsi in politica. Così ha fatto anche Francesco Profumo che d’altra parte, fin dall’inizio del suo mandato, ha sempre detto di voler operare non sul terreno delle riforme (specie di quelle di ordinamento), ma su quello della razionalizzazione del sistema. Da “oliare” rendendo efficienti i suoi meccanismi “arrugginiti”, ha più volte spiegato con il tipico lessico dell’ingegnere.

Lo ha fatto? Lo ha fatto bene? Qual è il bilancio dei suoi quindici mesi da ministro?

Va detto che Profumo si è trovato a gestire una pesante eredità: quella lasciatagli da Mariastella Gelmini in termini di provvedimenti, quasi tutti vincolati nei tempi e nei contenuti, attuativi della intensa produzione normativa realizzata dal suo predecessore nei tre anni e mezzo precedenti.

Così è stato per le decine di decreti e regolamenti previsti dalla riforma dell’università, per il completamento del riordino dell’istruzione secondaria superiore, per il varo e il primo collaudo degli Istituti Tecnici Superiori (ITS), per le nuove Indicazioni nazionali per il primo ciclo. Profumo ha voluto imprimere una forte accelerazione alla informatizzazione delle procedure amministrative, e in prospettiva di tutto il processo formativo sul versante sia dell’insegnamento sia dell’apprendimento.

Lo si è visto anche nella vicenda dei concorsi a cattedra, riattivati da Profumo sulla base di norme antiquate ma gestiti con metodologie moderne: prove preselettive, test, quesiti a risposta aperta, orale comprensivo di una lezione ecc.; delle prove di esame di maturità; delle prove preselettive dei TFA; del sostegno dato alle tecnostrutture di sistema come l’Invalsi e l’Indire.

Le poche volte che Profumo ha provato a dismettere l’abito del tecnologo/tecnocrate per indossare quello del riformatore, come nel caso del ventilato innalzamento dell’orario di servizio degli insegnanti secondari a 24 ore, ha dovuto rinunciare. Forse in quel momento ha capito che la politica, almeno quella di questi tempi di crisi e incertezza, non faceva per lui.