I limiti giallo-verdi sulla scuola
La breve stagione giallo-verde non è stata certamente esaltante per la scuola. Già nel contratto di Governo gli obiettivi per l’istruzione, declassati agli ultimi posti del patto giallo-verde, avevano un respiro breve, un orizzonte limitato, condizionato dal rapporto troppo stretto con l’impianto riformista della Buona Scuola di cui vagheggiavano il cambiamento forse per compiacere il personale scolastico e le sue rappresentanze sindacali, anziché famiglie e alunni.
E, anche per questi limiti, l’azione dell’Esecutivo e del ministero di Marco Bussetti si è caratterizzata per una evidente mancanza di strategia per obiettivi a lungo termine (basterebbe un rapido confronto con l’impianto della legge 107 della Buona Scuola per rilevarlo oggettivamente).
Prigionieri della sindrome del cambiamento come restaurazione e dei vincoli interni per i veti incrociati, Governo e Ministro non sono stati in grado di incidere nell’innovazione, vivendo soprattutto sulle situazioni contingenti.
Già a cominciare dai primi provvedimenti legislativi dell’estate scorsa (ricordate il decreto dignità?) l’Esecutivo e il ministro Bussetti avevano evidenziato esitazione e contraddizioni per affrontare emergenze.
Nella breve stagione legislativa sono state corrette decisioni già assunte, vivendo un po’ alla giornata. Basti pensare, ad esempio, al concorso ordinario di scuola primaria e dell’infanzia, di cui più volte è stato annunciato il bando come pronto e imminente: pronto ad aprile prima delle elezioni, da pubblicare entro l’estate, rinviato a ottobre.
L’impronta giallo-verde sulla scuola non lascerà tracce e non avrà rimpianti. Forse.
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