Gli albi regionali interpretano il Titolo V?

L’idea dell’albo regionale prospettata dal presidente lombardo Formigoni, e la conseguente possibilità di chiamata diretta da parte delle scuola, senza vincoli di graduatorie, non sono nuove per la scuola italiana. Le aveva prospettate per prima la riforma del ministro Moratti che, attraverso il decreto legislativo 227/2005 (abrogato dalla legge finanziaria 2008 del Governo Prodi), prevedeva, al termine del percorso formativo universitario per la laurea magistrale, l’iscrizione ad albi regionali dei neo-laureati abilitati. E dall’albo regionale le scuole avrebbero potuto direttamente attingere per chiamata di docenti da utilizzare con contratto di inserimento formativo al lavoro, in vista del necessario concorso pubblico.

Il presidente Formigoni ha ripreso quell’idea e l’ha rilanciata, in via sperimentale, per la regione Lombardia con l’obiettivo di riqualificare l’offerta formativa delle scuole attraverso docenti scelti per la qualità della loro formazione e del livello professionale raggiunto. In quel modo le scuole avrebbero mani libere per scegliere i docenti, senza lacci e laccioli che possano irrigidire la modalità di nomina e di utilizzo degli insegnanti. Una piccola rivoluzione.

Si tratta di una forma di liberalizzazione che dovrebbe risultare gradita a famiglie (l’A.Ge. ha già dato segnali di assenso) e ai dirigenti scolastici (l’Anp ha la primogenitura di quell’idea), nonché ai gestori di scuole paritarie che vedrebbero riconosciuta la loro richiesta di avvalersi, in condizioni di effettiva parità, degli stessi docenti utilizzati dalle scuole statali.

Quello proposto dal governatore della Lombardia è un modo audace per interpretare il Titolo V della Costituzione e il concetto di legislazione concorrente in materia di istruzione che prevede la potestà legislativa delle Regioni. Una sfida per una diversa qualità dell’istruzione destinata a provocare subbuglio nel mondo politico e sindacale.