
Giovani sempre connessi e pandemia, Corradini: ‘In aumento le patologie. Scuola uno degli attori principali nello sviluppo della consapevolezza digitale’

Capi sempre chini a guardare lo schermo di uno smartphone, dita che battono leggere su piccoli schermi. Secondo una recente indagine commissionata da Generazioni Connesse e lanciata in occasione del Safer Internet Day dello scorso 9 febbraio, 1 ragazzo su 5 ha confessato di essere sempre connesso, tanto più in questo tempo di pandemia, dove gli incontri in presenza sono limitati all’indispensabile. Ma con quali conseguenze? Ne abbiamo parlato con Isabella Corradini, psicologa sociale ed esperta di Human factors&Digital technology, direttore scientifico del Centro Ricerche Themis.
La pandemia ha costretto i ragazzi a chiudersi in casa e a limitare i contatti con i loro coetanei… Quali saranno secondo lei le conseguenze?
“Bisogna prima di tutto considerare che l’isolamento fisico di ragazzi e ragazze ha rappresentato non solo una condizione forzata, ma anche improvvisa, che non ha dato il tempo necessario di adattamento. Di colpo, tutti sono stati costretti a cambiare abitudini, riducendo drasticamente le opportunità di interagire in presenza. Una “nuova normalità” è entrata prepotentemente nella vita delle persone; una normalità scandita dal distanziamento fisico, lezioni a distanza, stravolgimenti di orario, impossibilità di praticare sport, vacanze rimandate e via dicendo. A fronte di tutto questo, i più giovani non hanno ricevuto il necessario supporto, anche perché nessuno si aspettava una pandemia come quella che ha travolto il mondo intero. A parte quanto accaduto nell’immediatezza della situazione emergenziale, vanno poi visti gli effetti psicologici a medio e lungo periodo. Proprio riguardo a bambini e adolescenti, alcuni esperti che operano nelle ASL e nelle strutture ospedaliere hanno segnalato l’aumento di patologie e problematiche diverse, che vanno dagli attacchi di panico all’alterazione di comportamenti alimentari, all’aumento di atti di autolesionismo, sottolineando anche il rafforzamento di un disagio adolescenziale presente prima della pandemia. Ritengo che si tratti di condizioni e di segnali da monitorare nel tempo, per poter prendere le precauzioni più opportune e, soprattutto, fornire il sostegno necessario”.
Il Covid ha portato a riversare online il bisogno di socialità di tutti, specialmente dei più giovani. Quali rischi e quali opportunità vede?
“I più giovani sono già abituati a vivere gran parte delle loro relazioni sociali online, sperimentando i più svariati e innovativi social network e applicazioni. Mentre questa socialità online prima della pandemia si accompagnava ad una dimensione relazionale anche di tipo fisico – il vedersi con i propri compagni a scuola, nei centri sportivi e in altri luoghi di aggregazione – in seguito il legame con il proprio smartphone è diventato ancora più importante, in quanto unico mezzo con il quale organizzare il proprio quotidiano e mantenere i contatti sociali. Tuttavia, all’aumento dell’uso di strumenti digitali, è corrisposto anche un incremento dei rischi in rete e di fenomeni aggressivi, come atti di cyberbullismo e revenge porn. Forse per noia, per opportunità, forse ancora per sfogare l’aggressività accumulata dietro gli schermi digitali. Quello che deve far riflettere è che se è vero che i giovani hanno molta dimestichezza nell’uso delle tecnologie digitali, tanto da essere consultati perfino dai genitori su qualche dettaglio tecnico, è altrettanto vero che non hanno consapevolezza dei rischi ai quali possono esporsi. Lo smartphone non è il sostituito della relazione, ma solo un mezzo”.
In questo contesto come possiamo lavorare per aumentare la consapevolezza digitale dei più giovani, e come aiutare i genitori?
“Bisogna lavorare in sinergia con tutti gli attori interessati, partendo da un chiaro obiettivo, che è quello di trasformare le persone da meri consumatori a ‘cittadini digitali consapevoli’. Questo significa coinvolgere nel giusto modo ragazzi e ragazze nel processo di digitalizzazione: non basta insegnare a fare giochini con il computer, occorre lavorare soprattutto sugli aspetti culturali. Posso usare uno smartphone per fare tante cose, la differenza sta nel come e con quali conseguenze, positive e negative. A partire dalla scuola, occorre quindi stimolare i più giovani a sviluppare un pensiero critico, da non intendersi come un rifiuto all’innovazione ma come sviluppo di un atteggiamento proattivo, in grado di rispondere positivamente alle sfide digitali, responsabilizzandosi rispetto ai rischi. Quali sono le reali potenzialità di uno smartphone? Perché è importante proteggere i miei dati? Che impatto ha tutto questo sul mio futuro? Sono esempi di domande stimolo che aiutano il percorso della consapevolezza digitale”.
he ruolo deve avere, secondo lei, la scuola?
“La scuola, attraverso i suoi insegnanti, è uno degli attori centrali del processo di sviluppo della consapevolezza digitale. Gli insegnanti fanno già un grande lavoro in questo senso, ma non possono fare miracoli. Debbono essere sostenuti in un percorso che andrebbe concepito come un’attività educativa strutturale, non riducibile a giornate celebrative o ad eventi occasionali. Da questo punto di vista ci sono progetti interessanti a livello nazionale che fanno un grande sforzo nel produrre materiali didattici e informativi sull’educazione all’uso consapevole delle tecnologie digitali, ma la questione va affrontata a monte, vale a dire che è necessario definire programmi ad hoc nelle scuole con strumenti e risorse adeguate”.
Il centro ricerche Themis che lei dirige supporta il progetto “Programma il futuro” sul tema della consapevolezza digitale, in che modo?
“Il nostro Centro affronta da molti anni il tema della sicurezza digitale sia in ambito scolastico che nelle aziende. Lato scuola, supportiamo il progetto Programma il Futuro che da diversi anni costituisce un punto di riferimento importante per molti insegnanti della scuola italiana. Collaboriamo alla realizzazione e all’adattamento di materiali didattici sulla cittadinanza digitale consapevole, strumenti che gli insegnanti possono utilizzare nelle scuole primarie e secondarie di primo grado https://programmailfuturo.it/come/cittadinanza-digitale. Sono previste anche delle schede per i genitori sugli argomenti trattati, in modo da poter “parlare lo stesso linguaggio” dei propri figli. Affrontiamo una varietà di temi, che vanno dal cyberbullismo alla protezione dei dati in rete, a come viene speso il tempo nelle varie attività digitali. Inoltre, sempre in relazione al progetto, pubblichiamo annuali rapporti di monitoraggio che analizzano sia la partecipazione di insegnanti e studenti, sia le tendenze relative alla consapevolezza digitale. C’è tanto lavoro da fare, ma per ottenere risultati bisogna essere costanti e fiduciosi.
E’ molto importante oggi far capire ai ragazzi quali mestieri e figure ruotano attorno al mondo del web e della cybersecurity. Quale il ruolo dei privati oltre che delle scuole nell’ambito della consapevolezza digitale?
“Le aziende possono fare molto per avvicinare i giovani studenti al mondo digitale in modo consapevole, per stimolarli a sviluppare la giusta prontezza ad affrontare le sfide e i rischi della rete, oltre che le opportunità. In Seeweb da anni ospitiamo nei nostri data center di Frosinone e Milano scuole superiori da tutta Italia, coinvolgendo gli studenti in vere e proprie visite guidate presso le nostre server farm, per mostrare loro il reale dietro le quinte di Internet e le fondamenta fisiche della tecnologia. Dopo ogni visita, nelle nostre aule Academy organizziamo per loro webinar formativi sulle tematiche di sicurezza, OpenSource, cloud, ethical hacking mettendo a disposizione i nostri esperti. Inoltre, siamo partner di Programma Il Futuro, straordinaria piattaforma di educazione digitale e programma che promuove lo studio dell’informatica e la sensibilizzazione alla consapevolezza digitale a partire dalle scuole elementari”.
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