GAE e diplomati magistrali, sentenza a dicembre: in cattedra anche chi non ha mai insegnato?

Concluso ieri mattina il dibattimento al Consiglio di Stato sulla questione dell’iscrizione in GAE dei diplomati magistrali ante 2002, si attende soltanto la pronuncia dei magistrati presenti in seduta plenaria del Consiglio. Come Tuttoscuola ha riportato nelle ore scorse, da voci raccolte al termine della seduta sembra che la sentenza non uscirà prima dei prossimi 15 giorni o, comunque, entro un mese al massimo.

Intanto nelle ultime ore diversi quotidiani hanno riportato la storia di una casalinga siciliana 57enne che, se il Consiglio di Stato dovesse decidere a favore dei diplomati magistrali, andrebbe a insegnare pur senza averlo mai fatto. «È vero, ho fatto la casalinga, ma ho cresciuto 4 figli, – dice la donna al Corriere.it – due hanno studiato filosofia e due medicina. Ho sempre amato la cultura, e leggo tantissimo. Mica dico di essere più brava dei laureati…Però anche io ho le mie possibilità, lo Stato me le dà , e non vedo perché non dovrei coglierle». Giusto, ma sono sufficienti passione e motivazione per insegnare?

L’inchiesta di Tuttoscuola GAE… inesauribili. La grande beffa delle graduatorie dei precarinon guarda solo ai risvolti occupazionali. Approfondisce tutto anche da un’altra prospettiva, legata al motivo ultimo per cui esiste la scuola, alla missione ad essa affidata dalla società. Per istruire ed educare al meglio le nuove generazioni occorre un sistema complesso il cui fulcro non può che essere la qualità del corpo insegnante. Il ruolo del docente è particolarmente importante per i bambini dell’infanzia e primaria, come afferma in modo unanime una vasta letteratura internazionale. Psico-pedagogisti ed economisti dell’istruzione sono giunti a stabilire correlazioni significative tra la qualità della formazione ricevuta dai bambini nella fascia 3-9 anni e il successo professionale (e anche economico) nella vita adulta. Le scienze cognitive hanno messo in luce la grande plasticità e ricettività del cervello umano soprattutto nei primi anni di vita (0-6, fino a 9 anni), e l’importanza di una stimolazione ricca, continua e scientificamente aggiornata delle funzioni cerebrali legate all’apprendimento e al comportamento, condotta da insegnanti che conoscano e padroneggino queste materie e le relative tecniche, che solo in anni recenti sono diventate in Italia oggetto di ricerca e di didattica a livello universitario.

I percorsi di formazione degli insegnanti che entrano nella scuola dell’infanzia e primaria – è questo il focus della nostra indagine – sono oggi assai diversificati. Il percorso “ordinario” prevede una laurea quinquennale specifica con valore abilitante, inclusiva di 600 ore di tirocinio, verifica delle competenze digitali e di lingua straniera, formazione per accoglienza disabili. I laureati dovranno poi superare un concorso per accedere al ruolo.

Il “contenitore” delle GAE – il secondo canale di ingresso in ruolo – “nel tempo ha accolto persone con profili variegati. Ci sono insegnanti laureati, anche vincitori di concorso (o “idonei” avendo superato le prove) e docenti con una lunga esperienza sul campo come supplenti annuali o fino al termine delle lezioni, che hanno curato l’aggiornamento professionale”. A seguito della stratificazione normativa e degli interventi della magistratura amministrativa e del Consiglio di Stato, contestualmente entrano in ruolo (al momento con riserva) attraverso il canale delle GAE anche iscritti in possesso soltanto del diploma di scuola o istituto magistrale conseguito entro il 2001-02, in alcuni casi venti se non trent’anni fa. Molti di loro non hanno superato un concorso per maestri e tanti non hanno neppure svolto servizio nella scuola statale: risultano infatti iscritti in graduatoria con zero punti di servizio. Verosimilmente è da ritenere che in tanti non abbiano mai insegnato (1). Attraverso sentenze del Tar è stato loro consentito l’accesso alle GAE, anticamera diretta del ruolo. Fanno ovviamente benissimo ad avvalersene, ma non è questo il punto della nostra inchiesta.

Specifichiamo – anche se le parole usate qui e nel dossier sono chiare e quindi comprensibili da tutti, a maggior ragione da chi ambisce a insegnare: non ci riferiamo a chiunque disponga di un diploma magistrale (ovvero a un gruppo indistinto di persone, come se dicessimo “tutti quelli con i capelli rossi”), ma a coloro che dopo il diploma non si sono laureati in Facoltà rivolte all’insegnamento, non hanno superato un concorso per docenti e magari non hanno mai insegnato, se non sporadicamente. Insomma che non si sono dedicati nei lustri scorsi a completare la propria formazione e a costruire la propria professionalità. Ce ne sono migliaia.

Non vanno colpevolizzati: hanno dalla loro norme e sentenze e – ripetiamo – fanno bene ad avvalersene. Tra l’altro tra chi ha avuto quel percorso ci saranno sicuramente anche ottimi maestri. D’altronde – e di converso – anche tra chi è laureato in Scienze della Formazione primaria (o addirittura plurilaureato), ha superato il concorso e ha fatto tirocinio o gran numero di supplenze possono nascondersi insegnanti non all’altezza. Non sono elementi che danno la garanzia assoluta del “risultato”. Per “fare” un buon maestro ci vogliono qualità – umane, morali, intellettive e così via – che prescindono dai titoli.

Ma ci si consenta la franchezza, che non ha nulla di personale ma è rivolta all’interesse generale: è allora altrettanto patologico che, prima di affidare gli alunni a un nuovo docente, non si sia verificato che egli o ella abbiano – oggi – gli strumenti e le competenze aggiornate per svolgere al meglio il proprio lavoro, e che siano quindi messi nelle migliori condizioni per farlo. Nessuno mette più in discussione in altri settori, ad esempio nelle fabbriche (non solo in quelle 4.0, ma anche in quelle 1.0), che un operaio o un tecnico debbano essere altamente qualificati, che si tratti di lavorare a un tornio o su un circuito elettronico. Ebbene si vorrebbero adottare standard più bassi quando si tratta della testa di un bambino?

Una risoluzione approvata alla Camera al momento dell’approvazione della legge n. 107/2015 sulla “Buona scuola” aveva appunto previsto per i docenti con quel background un supporto in termini di formazione e qualificazione, nonché di accertare durante l’anno di prova il possesso delle competenze di base dei nuovi assunti. Non se ne è fatto nulla, e non è un bene per la scuola e per la società. In ogni caso, in una recente intervista a Tuttoscuola, la ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, ha dichiarato: «Dobbiamo offrire garanzie alle famiglie sulla preparazione dei docenti».

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 (1) C’è chi ha ipotizzato che i punteggi di servizio possano essere a zero perché gli USP non avrebbero aggiornato i dati: noi non possiamo che attenerci ai documenti ufficiali e pubblici, di cui abbiamo riportato con precisione i dati (nelle GAE di Roma per la scuola dell’infanzia e per la primaria una percentuale tra l’80 i il 90% degli iscritti hanno zero punti di servizio).. In caso di errori nelle graduatorie immaginiamo che gli interessati possano fare ricorso.