Educazione emergenza nazionale

Il 61% delle famiglie italiane considera l’educazione la prima emergenza nazionale e, per un altro 35% è, comunque, una tra le prime emergenze del Paese. E’ quanto emerge dal primo Rapporto nazionale sullo stato dell’educazione in Italia condotto dalla Fondazione per la Sussidiarietà nel 2006 su un campione di 3.216 intervistati tra famiglie, istituzioni e imprese, ed illustrato oggi a Roma dal presidente della Fondazione per la Sussidiarietà Giorgio Vittadini, alla presenza del ministro della

Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni.

La consapevolezza dell’importanza della sfida educativa, rileva il rapporto, fa affermare a più del 55% del campione che il primo elemento di una scuola di qualità sta nella preparazione e nella capacità degli insegnanti; mentre il “contesto sociale e culturale”, che si attesta in media intorno al 23%, supera la presenza delle famiglie (15%) e le risorse economiche (7%).

Per quanto riguarda la crescita della personalità, per l’89% del campione, avviene assai più nell’opera educativa svolta da un “maestro” che non in una ipotesi di tipo individualistico, libera da ogni autorità (10%); nella “partecipazione ad una comunita’ o gruppo” (78%), piuttosto che in un “proprio cammino personale” (21%). Riflette invece più equilibrio l’alternativa posta tra una scelta educativa che predilige la spontaneità (54%) al tener conto della tradizione di appartenenza (43%).

Per quanto riguarda gli obiettivi e gli scopi della scuola, l’82% del campione è convinto che serva innanzitutto ad “istruire ed educare”, cioè a formare la personalità e insieme a fornire conoscenze, più che non limitarsi semplicemente a “addestrare a un lavoro” (13%). Mentre il 56% ritiene che il primo compito della scuola sia quello di fornire conoscenze specialistiche e quindi di preparare al mondo del lavoro; nettamente minoritarie le posizioni espresse a favore del supporto nella “formazione dei valori” (20%) e nella “apertura ai problemi sociali ed economici” (11%).

I maggiori difetti della scuola italiana vengono identificati nella scarsa qualificazione degli insegnanti, indicato dal 43% come il maggior difetto della scuola italiana: una conferma, sia pure indiretta, che, in modo esplicito, o molto più spesso implicito e latente, la prima risorsa dell’educazione e’ proprio la persona. Alle famiglie è stato quindi chiesto se ritenessero la scuola italiana adeguata alle esigenze dei giovani e della società. Se in buona parte gli intervistati sostengono che la scuola italiana è adeguata ai problemi dei giovani, questo avviene con forti riserve: per il 41% la scuola “à adeguata, ma con gravi insufficienze”; per il 17% lo e’ solo in minima parteQuanto alla conoscenza delle riforme il 68% degli intervistati afferma di conoscere la riforma Moratti e di questi il 49% ne dà un giudizio positivo, mentre tale giudizio è negativo per il 50%. E’ positivamente unanime la valutazione circa l’introduzione della scuola professionale all’interno del sistema scolastico: 95%. Così come è positivo il giudizio delle imprese, che nel 58% dei casi condividono l’introduzione di un canale di istruzione come quello della formazione professionale.

Questi risultati vanno inseriti in un quadro composito, che non può essere interpretato in modo univoco: secondo il 27% dei rispondenti, nel sistema italiano c’è poca libertà di educazione, mentre essa è “abbastanza” per il 46% e addirittura “molta” per il 24%, con un 40% che ritiene che la scuola debba essere gestita solo dallo Stato, mentre il 56% auspicherebbe un sistema misto Stato/privato e un 37% non iscriverebbe mai un figlio “ad una scuola privata, neanche se fosse gratuita”.

A ciò sono da aggiungere le differenze di derivazione geografica, con il centro-sud che associa a “sussidiarietà” il timore di una progressiva estinzione dei tradizionali compiti dello Stato, con un conseguente vuoto di efficienza. Una indicazione comunque si può trarre: la maggioranza, a livello istituzionale, privilegerebbe una soluzione mista, contraria agli estremi opposti dello statalismo e della liberalizzazione pura, e contraddistinta da corresponsabilità tra i diversi attori del sistema, Stato e privati.

Agli intervistati e’ stato chiesto di prendere posizione su di una accezione di sussidiarietà fortemente orientata verso il tema della persona e della sua crescita individuale e sociale: “per principio di sussidiarietà si intende una modalità di sviluppo che riconosce e valorizza le iniziative della piccola e media impresa, dei gruppi sociali e del singolo individuo. In particolare identifica educazione ed istruzione come strumenti di sviluppo della società”. Così, se appena il 22% dichiara di conoscere la sussidiarietà, una volta spiegato il suo significato, il 71,5% ne ha ammesso una “percezione positiva” e il 74% ha riconosciuto che la sussidiarietà è un fattore che può favorire maggiore responsabilità da parte degli operatori dei servizi pubblici. La definizione proposta, legata all’educazione come principale fattore di sviluppo, ha così evidenziato una istanza – espressa in modo più o meno coerente – di maggiore libertà, raccogliendo ampi consensi e attestando un diffuso desiderio di cambiamento e di maggiore partecipazione anche per quegli ambiti “terzi” che finora hanno subito il retaggio culturale di un orientamento ideologico prettamente statalista in campo amministrativo, previdenziale, fiscale, industriale e sociale.

Nel complesso, rileva il rapporto, le spinte al cambiamento che in vario modo emergono dai risultati del rapporto stanno ancora facendo i conti con un retaggio culturale che appare condizionato sia dalle differenze storiche tra nord e sud del Paese e dai rispettivi modelli di sviluppo – o di non-sviluppo; sia dall’antinomia ideologica Stato-privato, che ostacola le molteplici istanze che vedrebbero con favore “nuovi modi” del fare sociale.