Tuttoscuola: Il Cantiere della didattica

Educazione civica/2. Ma l’educazione civica si può insegnare?

E’ noto che l’educazione civica, pur prevista nell’ordinamento della scuola italiana da cinquant’anni, ha avuto sempre scarsa incisività, anche perché collegata (e subordinata) ad altre discipline, in particolare la storia.

Il più organico tentativo di dare una consistenza disciplinare e uno spazio orario autonomo all’educazione civica è stato probabilmente quello compiuto agli inizi degli anni novanta dello scorso secolo dalla commissione Brocca, dal nome del sottosegretario che la presiedeva.

I cosiddetti “programmi Brocca” prevedevano – ed anzi prevedono, perché sono tuttora largamente diffusi – che nel biennio iniziale (14-16 anni) delle scuole secondarie superiori fosse insegnata per due ore settimanali una disciplina, denominata “Diritto ed Economia”, basata sull’insegnamento delle principali regole giuridiche ed economiche della convivenza civile a partire dai principi della Costituzione italiana.

Ma anche questa esperienza non ha prodotto risultati efficaci perché l’insegnamento si è quasi sempre ridotto a una sommaria precettistica, a un nozionismo che non implicava alcuna interiorizzazione normativa e valoriale e non incideva affatto sui comportamenti.

L’interrogativo sulla insegnabilità dell’educazione civica è stato recentemente riproposto nel convegno intitolato “A scuola per educare alla convivenza civile” promosso ad aprile dalla FNISM (Federazione Nazionale Insegnanti Scuola Media), la più antica associazione professionale degli insegnanti italiani, fondata un secolo fa da Gaetano Salvemini. La risposta al quesito si può così riassumere: no, se la convivenza civile è concepita come materia; sì, se la si intende come una pratica, un insieme di regole che vengono interiorizzate dagli allievi attraverso esperienze concrete di condivisione e rispetto delle stesse: non una materia, dunque, ma una trans-materia di cui tutti gli insegnanti e gli insegnamenti si devono far carico. Dalla matematica all’educazione fisica. Con una valutazione collegiale, che potrebbe dare nuovo senso pedagogico e rilevanza sociale al vecchio “voto di condotta”.

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