Educazione civica e DDI: la scuola come palestra di democrazia

Di Sonia Caputo

Nell’anno in cui l’insegnamento dell’educazione civica diventa obiettivo comune e trasversale agli insegnamenti con il Decreto del 22 giugno 2020, applicativo della L.n.92/2019, la scuola italiana rischia di creare l’ennesimo mismatch tra gli obiettivi dichiarati e le politiche perseguite. Coerentemente con le politiche nazionali e comunitarie, la scuola di ogni ordine e grado è chiamata ad innovarsi per “promuovere il pieno sviluppo della persona  e la partecipazione di tutti i cittadini all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Cittadinanza consapevole, conoscenza dei diritti e doveri  e delle regole di convivenza sono stati individuati dal legislatore come prerequisiti per poter opportunamente far fronte alle sfide del presente e del futuro. La conoscenza della nostra Carta costituzionale, delle Organizzazioni internazionali e sovranazionali,  degli sforzi e degli sviluppi storico-sociali che ci hanno consegnato l’attuale Unione Europea e le Nazioni Unite concorreranno alla formazione dei nostri giovani e li proietteranno in un mondo di cui saranno più consapevoli, di cui sapranno assumersi la responsabilità. Gli stessi prerequisiti sono alla base della salvaguardia dell’ambiente inteso come espressione naturale, ma anche del benessere psicofisico, dell’istruzione di qualità, dell’alimentazione corretta, dello sviluppo sostenibile. Consapevolezza e responsabilità da attivare anche nell’esercizio della cittadinanza digitale, terza macrotematica da approfondire negli studi di educazione civica.

Sebbene nativi digitali e, come tali, radicati nelle nuove modalità di comunicazione, le giovani generazioni hanno bisogno di acquisire competenze utili ad una navigazione responsabile. Correttamente il legislatore ha intersecato lo studio dell’ed. civica con le discipline di studio, perché non resti studio avulso dalla realtà e se ne individuino le radici epistemologiche nella storia, nella filosofia, e in ogni ambito disciplinare, per una concreta interiorizzazione delle competenze e degli atteggiamenti individuati. Ciò nondimeno è alto il rischio che, ancora una volta, nella programmazione della scuola italiana si possa creare un gap tra la formazione teorica e le competenze da acquisire. Tanto sarà inevitabile se l’acquisizione di impegno, il concreto esercizio di diritti e doveri non saranno calati nell’apprendimento esperienziale, nel vissuto scolastico e familiare in cui essere guidati con acquisizione graduale ma fattiva delle responsabilità civiche connesse all’età.

Di certo non saranno esaustive le 33 ore annuali previste dal decreto, la cui finalità più grande è chiaramente quella di portare all’attenzione di tutta la società  civile l’obiettivo ormai prioritario della conoscenza dei diritti personali, inviolabili della persona, e dei diritti sociali, frutto di impegno e di lotte civili. Nella premessa alla norma si precisa che“[è]…“in classe [che] gli studenti iniziano a vivere pienamente in una società pluralistica e complessa come quella attuale, sperimentano la cittadinanza e iniziano a conoscere e a praticare la Costituzione”, Sperimentare la cittadinanza è l’obiettivo cui il nuovo patto di corresponsabilità per la DDI (Didattica Digitale Integrata) può contribuire sensibilmente, come esercizio precedente e propedeutico alla lettura  critica della Costituzione. Nel nuovo patto formativo stipulato si richiamano tutte le parti interessate: scuola, studenti e genitori ad un approccio comunicativo consapevole e sistemico tra le parti coinvolte nella nuova modalità dell’apprendimento in presenza, virtuale o blended. Si richiede collaborazione per una nuova forma di partecipazione alla vita scolastica che non può lasciare da soli gli studenti, siano pure nativi digitali, perché sono da implementare conoscenze e competenze, talvolta ferme all’utilizzo dei device per la mera navigazione sui social o per i games. Serve la guida dell’adulto, e non ci si può riferire alla sola figura del docente, a sua volta impegnato a districarsi tra normativa, circolari,  corsi di formazione per l’utilizzo delle piattaforme telematiche e per somministrare la didattica, la quale nel passaggio alla modalità online non può dimenticare di essersi evoluta rispetto alla mera lezione frontale. Occorre una guida perché i ragazzi imparino a gestire la propria presenza alle lezioni, perché sappiano attivare correttamente la videocamera per essere inquadrati almeno  in volto, sappiano utilizzare il microfono senza accavallare le voci con quelle dei compagni, perché gestiscano il tempo a disposizione nelle verifiche scritte, ma anche perché siano puntuali e dignitosi nell’abbigliamento mattutino; perché rispettino i tempi di pausa, perché il freeze (fermo immagine), il blur (effetto sfocato) e altri escamotage di cui si rincorrono numerosi sui social i video che hanno divertito i più giovani, preoccupato i meno giovani ed insegnato ai docenti ad allertarsi, siano solo occasioni  goliardiche  e non la sistematicità nella DaD. L’educazione civica, new entry tra le discipline, dovrebbe partire da queste prime regole di nuova vita scolastica. “E’ una situazione temporanea”, minimizzano in molti. Confidiamo tutti in un pronto ritorno alla normalità in presenza, e tuttavia il punto non è quanto ancora useremo la DaD, ma cogliere l’occasione perché si impari ad agire in ogni situazione nella correttezza, perché in futuro non si abbiano a pagare anche i danni di futuri cittadini che riversano nel sociale atteggiamenti irrispettosi ed individualistici appresi tra i banchi, sia pure virtuali.

Si fa più impegnativo il ruolo dei genitori, chiamati alla ribalta insieme ai docenti nel rinnovato patto di corresponsabilità; gli si chiede in sostanza una guida ed un controllo per cooperare sinergicamente al successo formativo di ogni singolo studente. No one must be left behind è il richiamo alla massima inclusività della UE di cui la nuova redazione del PtOF (Piano territoriale per l’Offerta Formativa) prende atto. Richiamare l’attenzione degli studenti ad un impegno leale, pur nel riconoscimento oggettivo delle difficoltà di partecipazione dovute a scarsa connettività o per accesso limitato ai device, non può superficialmente riassumersi come scarsa empatia degli insegnanti verso i propri alunni, come troppo spesso frainteso dalle famiglie: è piuttosto la professionalità docente che si concretizza nell’azione educativa richiamata da ultimo dalla L. 92/2019 e dalle sue Linee guida perché la scuola sia davvero la prima palestra di democrazia.