Education at a Glance 2025/2. Ma per ora lavorata l’Italia è più vicina alla media

Se si considerano i valori assoluti, come detto, l’Italia paga i propri docenti meno dei grandi Paesi OCSE. Ma il quadro è un po’ diverso se il confronto viene fatto per ora lavorata, grazie al minor numero medio di ore di insegnamento frontale.

Se prendiamo i dati di Education at a Glance del 2023, e riservandoci ulteriori approfondimenti e aggiornamenti, troviamo questa situazione, relativa allo stipendio medio annuo, a metà carriera, di un docente di scuola primaria, espresso in dollari a parità di potere d’acquisto: Italia: 39.000, Francia: 42.000, Spagna: 45.000; Germania: 65.000; USA: 61.000.

Se invece rapportiamo lo stipendio alle ore effettive di insegnamento frontale, la situazione cambia notevolmente. I docenti italiani hanno un impegno medio d’aula di 770 ore annue, inferiore a quello di altri Paesi come la Spagna (880 ore) o gli Stati Uniti (1000 ore). Utilizzando questo parametro il salario medio per ora di insegnamento in Italia sale a circa 51 dollari all’ora, in linea con la Spagna e leggermente superiore a quello erogato in Francia (49 dollari/ora), e resta nettamente distanziato solo dalla Germania (86 dollari/ora) e dal Regno Unito (69 dollari/ora), mentre si avvicina al trattamento dei docenti americani, che hanno un carico orario di 1000 ore frontali.

Il dato orario in sé, naturalmente, non esaurisce il tema, perché in Italia il lavoro dell’insegnante non comporta solo ore di lezione frontale: ad esse si aggiungono correzione di compiti, preparazione delle lezioni, attività collegiali, formazione continua. Insomma un lavoro extra lezioni, difficile da verificare e che certamente varia da persona a persona (e questo di per sé è un punto, perché il sistema attuale fa parti uguali tra diversi). Attività che non comportano presenza fisica a scuola, e che per la verità non riguardano tutte le materie. Le proposte di introdurre nella scuola italiana forme di “tempo pieno” almeno per una parte dei docenti sono state tutte sistematicamente bloccate non solo dai sindacati ma anche dalle forze politiche, di maggioranza e di opposizione, per calcoli di convenienza elettorale. E’ giunto il momento di valutare anche soluzioni fuori dagli schemi consolidati, come ad esempio quella di cui si parla nel numero di ottobre di Tuttoscuola (in un intervento di A. Rubinacci): la costituzione di un fondo finanziato anche da privati per l’incremento salariale dei docenti. Operazione delicata, da gestire con la massima attenzione ma che rappresenterebbe una novità quanto meno degna di approfondimento.

Il problema di fondo, per il nostro Paese, è prima di tutto la scarsa attrattività della professione, che si deve non solo ai bassi stipendi, ma anche alla pesantissima trafila che viene imposta per entrare in ruolo e, poi, alla mancanza di una carriera professionale che valorizzi le competenze e l’impegno individuale e favorisca la motivazione del personale per tutto l’arco della vita lavorativa.
La questione va affrontata globalmente e con una visione a 360 gradi, partendo dal presupposto che finché la professione sarà considerata non appetibile e destinata ad essere vista dai più come un ripiego (e purtroppo è sempre di più così), la qualità della scuola – che è fatta dalle persone – resterà una chimera.

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