
La sentenza della Cassazione n. 5856, depositata lo scorso 11 marzo, ha stabilito che è consentita ai clandestini la permanenza in Italia per un periodo determinato solo per “gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore se determinati da una situazione d’emergenza“, ma che non si può parlare di emergenza per le situazioni che hanno una “tendenziale stabilità” come la frequenza della scuola da parte dei minori, che costituisce anzi un caso di “essenziale normalità“.
Altrimenti, secondo la Cassazione, per questa via si finirebbe per “legittimare l’inserimento di famiglie di stranieri strumentalizzando l’infanzia” con lo scopo di aggirare la legge.
La sentenza vale per il caso specifico, non è cioè generalizzabile, perché la Cassazione valuta le singole fattispecie (in questo caso solo il padre dei due minori è clandestino, mentre la madre ha il permesso di soggiorno, e può continuare a seguire l’educazione dei figli in Italia), ma non c’è dubbio che essa fissi un principio dal quale sarà difficile derogare in futuro, pena la vanificazione della legge sull’immigrazione clandestina.
Il ministro dell’istruzione, Mariastella Gelmini, ha commentato la sentenza definendola “giusta“, ma ha anche ribadito che “la scuola italiana è pronta ad accogliere i bambini in difficoltà e a supportarli in un percorso educativo che li prepari e li formi“, e che “il nostro sistema d’istruzione ha sempre incluso e mai escluso“.
Secondo l’europarlamentare del Pd Silvia Costa “il diritto alla scuola dei minori è un diritto sancito dalla convenzione Onu sui diritti dei minori ratificata anche dall’Italia ed è un diritto primario che va tutelato indipendentemente dalla cittadinanza dei bambini“.
Si pone in ogni caso il problema di che cosa fare se i clandestini, raggiunti dal provvedimento di espulsione, chiedono allo Stato italiano che i loro figli restino in Italia per esservi educati. Chi ne avrebbe cura? Nel caso esaminato dalla Cassazione può provvedere la madre dei minori, ma in altri casi occorrerebbe intervenire con misure appropriate, dall’ospitalità nei convitti all’affidamento a famiglie. Altrimenti il destino di questi alunni stranieri, in molti casi nati in Italia, sembra segnato. E il nostro Paese non darebbe un esempio di civiltà.
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