Tuttoscuola: Il Cantiere della didattica

Divieto di alzare la mano: la voce di chi dirige la scuola

Si può vietare agli alunni di alzare la mano per prendere la parola? Ha senso considerare questo aspetto “un problema” didattico? Continuiamo a ricevere riflessioni di chi vive da vicino il mondo della scuola, a riprova che il tema, se pur apparentemente marginale, incuriosisce e stimola.

La Professoressa Maria Salvia, dirigente scolastica dell’Istituto Comprensivo “Amerigo Vespucci”  Vibo Marina e membro della commissione per le indicazioni nazionali per il primo ciclo commenta:”Quello che mi viene subito in mente leggendo il divieto di alzare la mano del Preside inglese è che da rilevanza ad un falso problema pedagogico. Mi spiego meglio:se il mio collega fosse un dirigente di una scuola del Sud Italiana, per esempio come la mia, avrebbe tanto altro su cui far convergere le sue attenzioni. Una scuola dove vivono tanti ragazzi e ragazze con storie da adulti. Classi dove gli insegnanti si occupano, oltre che di discipline, delle loro vite, delle loro sofferenze, delle loro privazioni. Classi dove si condivide la tragedia dei ragazzi soli, arrivati dal mare, senza più la loro storia, magari solo con qualche fotografia sbiadita da quel mare molte volte nemico. Ecco  che mai avrei pensato che alzare la mano in classe potesse essere un problema da affrontare. E nonostante tutto sono felice di essere una preside del Sud.”

Queste parole ci rimandano alla complessità di fare scuola ai nostri giorni, alla difficoltà di accompagnare la crescita di bambini che hanno storie difficili, di solitudine, di privazione, a volte di violenza. La dimensione della complessità è ribadita anche dalla Dirigente Scolastica del liceo Kennedy di Roma, professoressa Lidia Cangemi.La prima considerazione da fare, a mio parere, è che l unica regola sia, nell’ambito di cui si sta trattando, che non può esistere una regola. Ovvero, la scuola è un sistema connotato da relazioni multiple e fluttuanti, flessibili, estremamente dinamiche. Ciò che maggiormente denota il momento attuale è che, al consueto rapporto uno-tanti (docente/alunni) della scuola “tradizionale” si dovrà progressivamente sempre più affiancare il rapporto “tanti insieme” in cui il docente avrà funzione di facilitatore, educatore, mediatore, stimolatore. Una funzione molto gratificante, invero, ma che talvolta richiede un cambiamento di abito mentale non sempre facile da conseguire da parte di chi è stato, a sua volta, educato in un sistema uno-tanti: ciononostante molto la scuola sta facendo nella direzione di conciliare il tradizionale sistema di conoscenze con la necessità di percorrere nuovi percorsi relazionali, consentendo allo studente (adolescente o pre-adolescente) di sentirsi parte di un “gruppo” (la classe, ma anche di un gruppo trasversale libero dallo schema tradizionale) in cui al docente spetterà il compito di incentivare gli studenti a lavorare insieme, sostenendo i più deboli, condividendo energie e risorse, idee e conoscenze. Non c’è un’unica modalità di viaggio, né sarà possibile raggiungere la meta con i medesimi tempi. É importante essere consapevoli che siamo in viaggio e che la meta da raggiungere per la scuola è davvero strategica: dare un contributo fondamentale alla costruzione dei cittadini di domani“.

 Dagli interventi proposti capiamo che il centro del discorso, come già detto nel commento alla notizia riportata dal Corriere della sera di venerdì scorso, non è tanto se vietare o meno di alzare la mano agli alunni per prendere la parola. L’esigenza che in molti hanno manifestato è piuttosto di ripartire dalla didattica, dai bisogni veri degli alunni, dalle loro richieste, dalla vita che, giorno dopo giorno, entra nelle nostre classi.
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