Dispersione scolastica, Moreno (Maestri di strada): ‘E’ l’intero sistema che non funziona’

Il post Covid ha aumentato la dispersione scolastica. Siamo sicuri che si possa ancora parlare di dispersione, o è altro? Ne parliamo con i Maestri di Strada che stanno vivendo un  momento di grande difficoltà economica per tutto il lavoro svolto durante il Covid, per il quale non hanno ancora ricevuto i finanziamenti deliberati. Ma, nonostante tutto, vanno avanti lo stesso. Con la strategia del colibrì.

Cesare Moreno, come stanno i ragazzi nel dopo Covid?

“Sono aumentati di molto i casi di ritiro sociale. Molti ragazzi non vogliono più andare a scuola, chi ci va è indietro di due anni perché in Campania le scuole sono state chiuse due anni, i genitori sono sempre più arrabbiati, gli insegnanti sono sempre più stanchi e sfiduciati. Noi cerchiamo di aiutare gli insegnanti, i genitori e i ragazzi, stiamo stringendo i denti per andare avanti”.

 Crisi, in giapponese, significa opportunità…

“Si, appunto la dispersione dovrebbe essere l’occasione buona per cambiare registro: da don Milani ad oggi sono passati 60 anni e stiamo dicendo sempre le stesse cose. Ho l’impressione che la povertà educativa sia un alibi per non affrontare la verità”.

E qual è la verità?

“Che il sistema non funziona. Io sono tra quelli che mette ‘le pezze’. Si, stiamo mettendo le pezze con i progetti da ormai 24 anni ma non basta, riempio con il cucchiaino le buche fatte con i bulldozer. Continuo a farlo perché ho sposato la strategia del colibrì. Un giorno si incendiò la savana, tutti gli animali scapparono, con in testa il leone. Il colibrì era l’unico che andava nella direzione opposta. Il leone gli disse: “Cosa stai facendo, c’è l’incendio!” E lui: “Non te ne sei accorto, ma io sto portando l’acqua per spegnere l’incendio”. Il colibrì portava una goccia d’acqua ma la portava per spegnere l’incendio. Lui voleva spegnere l’incendio. Noi stiamo facendo questo, siamo nati per questo e ci dedichiamo a questo senza guardare quelli che scappano o l’incendio che è sempre più grosso. Ma se dobbiamo ragionare dobbiamo dire che se abbiamo il 34 per cento di Neet significa che tra fuoriuscite precoci e gente che è diplomata e laureata ma non lavora e non fa nulla, abbiamo un terzo dei giovani che sta fuori mercato. Il che significa stare fuori dai diritti civili, stare fuori da tutto. Un Paese che ha un terzo dei giovani – ma in alcune zone sono un terzo, al Nord il 15 per cento, a Napoli il 34 per cento, in Calabria sono di più – cioè due milioni e passa di giovani che sono fuori da tutto, non si può parlare più solo di dispersione. Tra l’altro, alcuni di questi a scuola andavano bene e si sono laureati. Quando abbiamo cifre di questo genere, non si può più parlare di dispersione ma di un  Paese che non funziona”.

Il Covid cosa ha evidenziato?

“Ho appena fatto una riunione con cento rappresentanti di cento Comuni, quindi ho un osservatorio esteso e quel che è emerso è che, tra quelli fuori mercato, ci sono anche laureati e persone che vengono dall’agio. E non si trovano: servono i dati per individuarli. Bisogna averli e darli a chi se ne occupa, ai centri per l’impiego, ai centri educativi territoriali, al ministero del lavoro e della famiglia. Chi  cerca di intervenire sui Neet non li trova perché nessuno dà informazioni su dove trovarli”.

Non li trovate?

“Sì, la Regione Campania è riuscita a fare dei corsi di formazione che prevedono che il laboratorio si faccia in azienda, in formazione duale. A abbiamo interpellato circa 60 ragazzi e siamo riusciti a convincerne solo quindici perché nessuno conosce questa formazione professionale: le famiglie non ne sanno nulla, non c’è fiducia nel sistema in generale. Anche le scuole conoscono poco la formazione professionale e, se la conoscono, pensano di correre il rischio di perdere iscritti. E quindi siamo all’assurdo: ci sono milioni di persone per le strade e corsi che non partono perché non si riescono ad ottenere le iscrizioni”.

Durante il lockdown avete fatto uno dei progetti più importanti e significativi… 

“Abbiamo realizzato il progetto I CoroNauti. Non ci siamo mai fermati, siamo andati nelle strade scortati dalla polizia, per consegnare i pacchi viveri per la mente a quei ragazzi che erano tagliati completamente fuori da Internet, abbiamo realizzato una web radio dove i ragazzi potevano scambiarsi idee, i trailers fatti dai ragazzi (circa 70), il portfolio digitale, la dad solidale ecc, ma siamo ancora in attesa del pagamento dei soldi stabiliti da parte del Ministero”.

Cosa intende per dad solidale?

“Abbiamo affittato un edificio, con tutte le misure di sicurezza possibili ed immaginabili, dove i ragazzi potevano andare a collegarsi in dad, visto che dalle loro case non potevano farlo. Ovviamente non era solo un luogo per collegarsi: i ragazzi erano accompagnati dagli educatori che li spingevano a restare connessi, che li aiutavano a studiare. Infatti siamo passati in poco tempo da 70 ragazzi al triplo. In assenza del pagamento di quanto commissionato, ho dovuto diminuire le paghe agli operatori e dal mese prossimo non saprò più come fare. Anche il prestito che abbiamo fatto in banca è finito”.

Perché il Ministero non paga?

“Non riesco a capirlo. Il progetto lo abbiamo deciso in videoconferenza con il ministro Azzolina e poi è continuato con il ministro Bianchi. Mi chiesero cosa avremmo potuto fare per il Covid e io risposi che già stavamo facendo. E il Ministero decise di allargare il nostro progetto. Poi abbiamo avuto riunioni al Ministero, noi abbiamo rendicontato tutto e nessuno ha sollevato obiezioni. Ma ancora nulla, dopo undici solleciti. Io non ci dormo la notte, i miei educatori non sono sereni”.

Tornando alla sede, l’ultima volta che siamo venuti a visitarla ci pioveva dentro. Siete riusciti a sistemarla?

“Ci stiamo provando con il bonus 110 e speriamo che finalmente potremo avere un tetto sulla testa e non l’attuale colabrodo”. 

 

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